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Salute e Benessere : Litigio con il partner? Ecco a chi fa bene dormirci sopra - Smentiti gli studi meno recenti: le statine possono avere effetti positivi sull’alzheimer
Inviato da Lucia Fiorello il 4/2/2024 9:00:00 (1872 letture)

gifcadenteCanada: gli studi più recenti in materia di Alzheimer e per molti versi appaiono sorprendenti, non solo perché smentiscono i risultati che negli anni venivano dati per acquisiti, ma anche perché farmaci ed integratori di utilizzo diffuso sembrerebbero risultare efficaci anche nella prevenzione dell’alzheimer. - Clicca e scopri il significato del termine: Il livello di attività di un area cerebrale è predittivo della capacità di risvegliarsi il giorno dopo con un rimbalzo positivo dell'umore o di una elevata resilienza emotivaIl livello di attività di un'area cerebrale è predittivo della capacità di risvegliarsi il giorno dopo con un rimbalzo positivo dell'umore o di una elevata resilienza emotiva.




 


Smentiti gli studi meno recenti: le statine possono avere effetti positivi sull’alzheimer




Canada, gli studi più recenti in materia di Alzheimer e per molti versi appaiono sorprendenti, non solo perché smentiscono i risultati che negli anni venivano dati per acquisiti, ma anche perché farmaci ed integratori di utilizzo diffuso sembrerebbero risultare efficaci anche nella prevenzione dell’alzheimer. 

In particolare è emerso che chi assume statine corre un rischio ridotto di sviluppare la malattia di Alzheimer  e quindi tali farmaci, ampiamente prescritti per abbassare i livelli di colesterolo in persone sofferenti di patologie cardiovascolari o a rischio di incorrervi,  avrebbero un doppio impatto positivo. 

Lo studio ha riguardato i cervelli di 110 persone di età compresa fra i 65 e i 79 anni di cui sono stati prelevati i campioni, successivamente pesati e valutati in relazione a numerose variabili, fra cui età al decesso, sesso, eventuali ictus, ecc….

i ricercatori hanno notato, così,  che nei cervelli delle persone che avevano ricevuto una terapia a base di statine erano presenti una quantità di fibrille di proteine tau nettamente inferiore rispetto agli altri. Il deposito nel cervello di fibrille di proteina tau e di placche di proteina beta amiloide sono i segni caratteristici della malattia di Alzheimer che dunque risultavano meno evidenti all’interno del cervello di quanti avessero assunto statine nel corso della propria vita. 

Lo studio della McGill University, pubblicato sul Journal of Neuroscience  ha inoltre confermato che  "le persone affette da Alzheimer sono diverse – come affermato da Gail LI, uno degli autori della ricerca-. È probabile che le statine aiutino a prevenire la malattia più in alcuni soggetti che in altri. Forse un giorno saremo in grado di dire con più precisione chi può beneficiare di quale tipo di statina per prevenire i cambiamenti prodotti dalla malattia." Ora si tratta di capire, conclude  Hamel  “in che modo trasportare questi soddisfacenti risultati dal laboratorio alla terapia per i pazienti.” Di modo che da “tale ricerca possa partire l'impulso a promuovere urgenti ricerche per aumentare la diagnosi precoce e aiutare le persone con demenza a ottenere di più dai trattamenti”.



 



Se si va a letto dopo un litigio con il partner, il fatto di risvegliarsi ancora arrabbiati o meno dipende dal livello di attività di un'area cerebrale caratteristica della persona.
Le persone che in genere mostrano una maggiore attività nella corteccia prefrontale laterale sono molto meno propense a risvegliarsi ancora mal disposte verso il partner il mattino seguente, mentre chi ha un livello di attività più ridotto mostra una maggiore "resilienza" emotiva. Lo ha appurato una ricerca condotta da neuropsicologi dell'Università di Harvard e dell'Università della California a Berkeley, che firmano un articolo sulla rivista Biological Psychiatry.
"Ciò che abbiamo trovato, come ci si poteva aspettare, è che tutti si sentono peggio nel corso della giornata in cui hanno avuto un conflitto con il partner. Ma il giorno successivo le persone che hanno una elevata attività prefrontale laterale si sentono meglio, mentre quelli che l'hanno più bassa continuano a sentirsi male", ha detto Christine Hooker, prima firmataria del'articolo.
Ciò suggerisce, continuano i ricercatori, che il miglioramento della funzionalità della corteccia prefrontale laterale può influenzare positivamente sul breve termine l'umore da un giorno all'altro e, sul lungo termine, rendere meno vulnerabili allo sviluppo di disturbi dell'umore.
Studi precedenti condotti su animali di laboratorio avevano mostrato che la corteccia prefrontale laterale è associata alla regolazione delle emozioni, ma finora non si era mai dimostrato che gli effetti della sua attività sono connessi al vissuto quotidiano.
"Il fattore chiave è che l'attività cerebrale registrata dalla risonanza magnetica funzionale è predittiva del vissuto del giorno dopo. Gli scienziati ritengono che ciò che osserviamo in queste scansioni cerebrali siano rilevanti per la nostra vita quotidiana, ma ovviamente non viviamo le nostre vite all'interno di uno scanner. Ma se potessimo mettere in collegamento ciò che vediamo in queste scansioni alla capacità di regolazione delle emozioni nella vita quotidiana, potremmo aiutare gli psicologi a prevedere come le persone risponderanno agli eventi stressanti delle loro vite"
Anche se, come sottolinea la Hooker è necessario ancora molto lavoro per sviluppare eventuali applicazioni cliniche della ricerca, i livelli di attività della corteccia prefrontale laterale potrebbero già fornire indicazioni sul rischio che una persona ha di incorrere in disturbi dell'umore in risposta a fattori stressanti.



 




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