Il termine infarto indica la necrosi di un tessuto in conseguenza all'arresto del flusso sanguigno arterioso dovuto a occlusione o rottura dell'arteria. La necrosi è di fatto la morte del tessuto cellulare dell'organo interessato dall'infarto o di una parte di esso. Si parla di infarto cardiaco o miocardico, splenico, polmonare ecc. a seconda dell'arteria interessata. L'infarto che si verifica con più frequenza è l'infarto miocardico acuto (IMA), oggetto di quest'articolo.
L'infarto miocardico avviene a seguito di un'ischemia acuta che si prolunga per più di venti minuti e che causa danni permanenti al cuore.
A seconda della sede dell'infarto e dell'estensione della zona da esso colpita si parla di infarto miocardico transmurale o di infarto miocardico intramurale. Nel primo caso la parete ventricolare è totalmente interessata, mentre in caso di infarto intramurale l'interessamento è solo parziale. L'infarto miocardico intramurale viene sottoclassificato come subendocardico se è prossimo all'endocardio o subpericardico se prossimo al pericardio.
Nel caso che l'infarto non sia particolarmente esteso generalmente non si registrano alterazioni delle altre pareti e la cinesi cardiaca è sostanzialmente invariata. Se, al contrario, l'infarto miocardico è di notevole estensione, il muscolo cardiaco perde parzialmente la sua capacità contrattile e possono esservi alterazioni anche nelle zone che non sono state colpite dall'attacco cardiaco.
Le cause dell'infarto miocardico
Come accennato all'inizio, l'infarto avviene a seguito di un evento acuto (ischemia), la causa principale è generalmente una trombosi (più raramente può essere uno spasmo a livello delle coronarie); tale evento però è la naturale conseguenza di un processo di natura aterosclerotica che colpisce le pareti dei vasi. Possiamo quindi affermare che, nella stragrande maggioranza dei casi, è l'aterosclerosi il processo che, a lungo andare, provoca l'evento acuto.
A peggiorare il quadro indotto dall'aterosclerosi vi sono numerosi fattori di rischio; alcuni di essi non sono modificabili (familiarità, età e sesso maschile). Esistono poi fattori di rischio di primo e secondo ordine.
Tra i fattori di rischio di primo ordine ricordiamo i seguenti:
- dislipidemie (tra le quali rivestono notevole importanza l'aumento dei livelli ematici dei trigliceridi e del colesterolo LDL e la riduzione del colesterolo HDL)
- ipertensione arteriosa
- diabete mellito
- sovrappeso
- sindrome metabolica
- fumo
- iperinsulinemia.
Tra i fattori di rischio di secondo ordine riportiamo i seguenti:
- aumento della lipoproteina (a)
- iperfibrinogenemia
- iperomocisteinemia
- anticorpi antifosfolipidi
- sedentarietà
- stress.
I sintomi dell'infarto miocardico
Un tempestivo riconoscimento del quadro patologico e una pronta messa in opera delle manovre rianimatorie appropriate fino al trasferimento in ospedale sono fattori essenziali per riuscire a superare il momento dell'infarto.
I sintomi principali dell'infarto miocardico acuto sono:
- dolore toracico particolarmente intenso fin dall'inizio, simile al dolore provocato dall'angina pectoris; l'intensità non presenta variazioni e spesso dura molto a lungo
- senso di oppressione
- sensazione di pesantezza a livello del torace
- sensazione di bruciore al petto.
Molto spesso il paziente colpito da infarto prova senso di nausea associato a vomito, è agitato, respira con una certa difficoltà, ha sudori freddi e accusa senso di svenimento. La frequenza cardiaca risulta aumentata.
Il dolore, spesso, dal petto si irradia anche alle braccia (più spesso al solo braccio sinistro), al collo, alle spalle e anche alla mandibola.
Più raramente il dolore può localizzarsi solo nel braccio destro o nella parte destra del torace o si hanno dolorabilità di tipo diverso da quelle descritte in precedenza, alcuni soggetti avvertono solo problemi di tipo respiratorio e altri riferiscono di sensazioni simili a quelle che si provano durante un'indigestione.
Talvolta, soprattutto nel caso di pazienti anziani o di soggetti affetti da diabete, l'infarto è addirittura silente, non sono rari casi in cui l'infarto viene riscontrato in modo occasionale in seguito a un controllo elettrocardiografico effettuato per altri motivi.
Negli infarti miocardici più gravi il quadro viene complicato dal cosiddetto shock cardiogeno che si presenta con cianosi alle estremità, ipotensione e ipotermia, diminuzione della diuresi e confusione mentale.
La diagnosi di infarto miocardico
La diagnosi di infarto, oltre all'osservazione della sintomatologia, richiede generalmente l'esecuzione di un elettrocardiogramma che rileverà alterazioni del tratto ST e delle onde T e Q. Il quadro elettrocardiografico si modificherà nei giorni successivi all'evento acuto a motivo del progressivo ridursi della lesione ischemica.
Per localizzare con estrema precisione la sede dell'infarto miocardico si ricorre a un esame ecocardiografico, una tecnica diagnostica che permette la visualizzazione delle zone che presentano un'alterazione della cinesi cardiaca.
Altri esami che rivestono una notevole importanza sono quelli relativi al dosaggio dei cosiddetti enzimi cardiaci fra i quali i più utilizzati sono i seguenti:
- troponina I (aumenta entro 6 ore dall'inizio dell'infarto e raggiunge il picco entro un range temporale di 12-24 ore, si normalizza generalmente dopo il sesto giorno dall'evento)
- CK-MB (aumenta entro 6 ore dall'inizio della dolorabilità toracica e raggiunge il picco entro un range temporale di 12-20 ore, si normalizza generalmente entro 36-48 ore)
- LDH (aumenta entro 12 ore dall'inizio dell'infarto e raggiunge il picco entro un range temporale di 24-48 ore; si normalizza dopo circa due settimane dall'evento).
Un altro esame utilizzato in caso di infarto è la scintigrafia miocardica i cui scopi principali sono quelli di valutare la condizione postinfartuale e individuare la presenza di ischemia residua postinfartuale, condizione che aumenta il rischio di successivi eventi di tipo ischemico.
Le complicanze dell'infarto miocardico
Le complicanze dell'infarto possono essere numerose e notevolmente rischiose; le complicanze più comuni sono:
- aritmia
- bradicardia sinusale
- fibrillazione ventricolare
- scompenso cardiaco
- shock cardiogeno.
La terapia dell'infarto miocardico
La terapia ospedaliera prevede la defibrillazione, con la quale, mediante una scossa elettrica, si cerca di arrestare la fibrillazione del cuore, la somministrazione di farmaci beta-bloccanti, per contrastare il danno al muscolo cardiaco, la somministrazione di farmaci antiaritmici per regolarizzare il battito. Se la terapia farmacologica non ha effetto, è necessario intervenire chirurgicamente per operare un by-pass coronarico, attraverso il quale, innestando parti di vasi sani, si ripristina l'irrorazione del cuore. La terapia successiva prevede il trattamento dell'ipertensione e dell'ipercolesterolemia, fattori di rischio notevoli per l'infarto. Nel periodo che segue l'infarto il paziente deve modificare il proprio stile di vita, eliminando il fumo e assumendo una dieta corretta. Il recupero di una qualità accettabile della vita dipende dalla tempestività dell'intervento medico e dalla volontà del paziente di abbandonare stili di vita dannosi.
L'aspetto preventivo rappresenta un capitolo molto importante nel quadro delle patologie cardio-circolatorie. Infatti è stato ormai accertato da numerosi studi e ricerche che esistono alcune condizioni che aumentano, anche di molto, il rischio di infarto al miocardio. Tra essi ricordiamo ancora una volta: il fumo di sigaretta, l'ipertensione arteriosa, l'obesità, la sedentarietà, l'eccessivo tasso di colesterolo e di grassi in genere. Risulta chiaro, quindi, come una vita sana e attiva e un'alimentazione corretta ed equilibrata possano contribuire a prevenire di molto questo tipo di patologie.
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