RUFFIANO chi, per denaro o altro compenso, agevola gli amori altrui; ma anche chi adula i potenti, sollecitandone la vanità, per ottenerne i favori - Il termine MIGNOTTA deriva dal vezzeggiativo francese “mignon”: mia piccola, mia piccina - Si definisce “protettore” chi mette sotto la propria ala protettrice una o più prostitute, assicurando loro la tranquillità di poter lavorare, in cambio di una parte più o meno cospicua dei loro proventi - Il RICOTTARO è un “raccoglitore” di soldi, guadagnati senza alcuna fatica - Al Sud il protettore si chiama "pappone", da "pappa", con l'identico significato di magnaccia, la radice è "magnà" - Nell'antica Roma il LENONE addolciva le sofferenze di chi le comprava, o la difficoltà della schiava a prestarsi ad un lavoro simile
Il termine “MIGNOTTA ” deriva dal vezzeggiativo francese “mignon”: mia piccola, mia piccina, che però poi diventa la piccola di tutti. Altri fanno derivare la parola mignotta da (filius – o filia) m(atris) ignotae”: figlio (figlia) di madre sconosciuta. Con questa dicitura venivano registrati all’anagrafe i bambini abbandonati dalle madri, e quindi cresciuti in strada, o in un orfanatrofio. La “mignotta” è dunque una madre ignota, che ha dovuto abbandonare il figlio perché non ha la possibilità di occuparsene. E lui fin da bambino se l’è dovuta sbrigare da solo: è dunque una persona spregiudicata, abile, e flessibile. Tutte qualità che lo rendono simpatico e in gamba,se riesce a sopravvivere. Lo testimonia l’espressione romanesca “fijo de na mignotta” poi passata anche in italiano, che è quasi un complimento: un tributo alla furbizia, all’inventiva e all’abilità (pur se spesso truffaldina) del suo destinatario. “Mignotta”, nato come vezzeggiativo-diminutivo, tra l’ironico e l’affettuoso, è diventato un po’ alla volta prima un vero e proprio sinonimo di “puttana” e poi un dispregiativo generico. “Mignotta”è parola un po’ meno fredda, un po’ più simpatica, e meno offensiva, di “puttana”: ma di questo comunque si tratta.
PROTETTORE: Il mestiere più antico del mondo, non è comunque uno dei più facili. Nonostante quello che dicono tante donne, sopravanzate in carriera o fregate in amore da qualcuna sospettata di professionismo; “Ok, adesso mi metto a fare la puttana anch’io”, la cosa non è così facile. Innanzitutto, occorre averci il fisico: e siccome la concorrenza è alta, la maggioranza delle donne già risulta tagliata fuori da quella che considerano una scorciatoia verso il successo. Oltre al fisico, ci vuole lo psichico: un talento naturale per l’arte della seduzione, la capacità di capire da chi si può ottenere di più, senza bruciarsi; il saper capire da quali “clienti” guardarsi, perché pericolosi, violenti, o altro. Così stando le cose, non stupisce che la donna che ha scelto la strada della strada abbia bisogno di qualcuno che le guardi le spalle. Di un uomo che conosca la vita e l’ambiente, e che sia dunque in grado di proteggerle: insomma, un protettore. Che non sia però uno stinco di santo: altrimenti è inutile. Si definisce “protettore” chi mette sotto la propria ala protettrice una o più prostitute, assicurando loro la tranquillità di poter lavorare, in cambio di una parte più o meno cospicua dei loro proventi. Il termine “protettore” ha molti sinonimi: ruffiano, ricottaro, lenone, magnaccia, paraninfo, prosseneta. Alcuni di essi sono ormai in disuso (paraninfo, prosseneta); altri sono chiaramente offensivi, come magnaccia: altri ancora, prendendo le distanze dalle loro etimologie, sono diventati dei dispregiativi: è il caso di ricottaro, e di lenone.
La parola “RICOTTARO” deriva quasi certamente (e visibilmente) da “ricotta”. Per capire quale attinenza possa avere questo gustoso alimento con un energumeno che sfrutta delle donne, occorre parlare un istante della ricotta. Le proteine del latte: la caseina (80%) e le proteine del siero (20%). Riscaldando il latte, si ottiene da una parte la caseina, che dà origine alla “cagliata”, con cui si fanno i formaggi, e dall’altra le proteine del siero. Riscaldando (“cuocendo”) ulteriormente le proteine del siero a 85-90° C si ottiene la ricotta: “da “recoctus”, ricotto. La ricotta è dunque, per certi versi, lo “scarto” della lavorazione del latte: un prodotto che si ottiene senza sforzo. Per traslato, viene chiamato “ricottaro” chi sfrutta il lavoro della prostituta, senza fare alcuna fatica. Su questo punto ci sarebbe da discutere: innanzitutto, per ottenere la ricotta il siero del latte va riscaldato, quindi non è che non si debba fare alcunché: fuor di metafora, il ricottaro, pur non fornendo direttamente la prestazione sulla quale lucra, deve comunque sorvegliare che le prestatrici d’opera non corrano pericoli, che non battano la fiacca, e che non s’imboschino i guadagni. Insomma, passa le notti in bianco anche lui. Dura, insomma, la vita del ricottaro. Nella Napoli del 700, in cambio della sua protezione il ricottaro aveva diritto a tre vestiti nuovi all’anno, tre accessi settimanali alla propria protetta, e al pagamento delle spese del vitto, del fumo e dell’avvocato qualora, nell’ambito dei rischi connessi alla sua attività, fosse stato arrestato. “Ricottaro” potrebbe peraltro non avere niente a che fare con la ricotta: secondo alcuni lessicografi deriverebbe piuttosto da “recòveta”: la raccolta di denaro che si faceva periodicamente nei vicoli di Napoli per aiutare le famiglie di chi era finito in galera. Queste “raccolte” erano sollecitate da personaggi equivoci, che spesso usavano questa formula per spillare del denaro a chi non era in condizione di dire di no. Il ricottaro sarebbe dunque un “raccoglitore” di soldi, guadagnati senza alcuna fatica.
MAGNACCIA è parola del dialetto romanesco, ormai nota (e impiegata) in tutta Italia. La radice è "magnà": mangiare, e allude all'atto di sfamarsi col lavoro altrui. Al Sud il protettore si chiama "pappone", da "pappa", con l'identico significato di magnaccia.
LENONE è chi con blandizie e seduzione agevola la prostituzione altrui. Il lenone favorisce e sfrutta la prostituzione. Nell'antica Roma, il lenone era il mercante di schiave; il termine viene da "lenire, addolcire". Non si sa se il lenone addolcisse le sofferenze di chi le comprava, o la difficoltà (almeno iniziale) della schiava a prestarsi ad un lavoro simile. Il personaggio del lenone era spesso presente nelle commedie dell'epoca: c'è ad esempio in Terenzio, nel "Phormio", e, ovviamente, in Plauto, nel "Curculio".
RUFFIANO: I dizionari italiani definiscono ruffiano chi, per denaro o altro compenso, agevola gli amori altrui. Ma anche chi adula i potenti, sollecitandone la vanità, per ottenerne i favori. Quella del ruffiano è un’arte antichissima, e altrettanto vecchia è la parola che la individua. L’etimologia di “ruffiano” è controversa. C’è chi sostiene che derivi dall’ebraico “rephion”: mollezza, dissolutezza. Altri vi riconoscono la radice medievale germanica “ruf”, che significa rogna, tigna, ma anche sporco; da cui la voce italiana raffia=sozzura. Ma ruffiano potrebbe derivare anche dal germanico “ruffi”: ghermire, arraffare, con la successiva aggiunta del sufisso latino “anus”. Lo psichiatra Claudio Ciaravolo propende invece per un altro etimo: secondo lui, la radice di ruffiano è il latino “rufus”, rosso, che attraverso la forma secondaria “rufulus”, è diventato “ruflanus”. I ruffiani nell’antica Roma molto probabilmente erano definiti così perché “trattavano” le prostitute che all’epoca avevano, come tratto identificatorio, i capelli rossi. Si trattava ovviamente di un artificio cosmetico: se fossero state autenticamente rosse, il loro prezzo sarebbe salito di molto. Le prostitute rosse(e anche se in misura minore le bionde) erano molto ambite, perché estremamente rare: le schiave vendute a questo scopo provenivano quasi tutte dal bacino del Mediterraneo, ed erano perciò di chiome generalmente corvine. E’ per questo che i commercianti in prostitute, non avendo quasi mai in campionario delle ragazze con queste caratteristiche, provvedevano a tingere loro i capelli di rosso (o in qualche caso a scolorirli, per ottenere l’effetto biondo). In altri casi utilizzavano l’hennè, che dona riflessi rossastri ai capelli neri. Erano dunque chiamati ruffiani perché rendevano rossi. Sulle rosse inoltre aleggiava (ma aleggia ancor oggi) un’aura di passionalità (il rosso è il colore dell’amore e della passione) e di indomabilità, che chiedeva solo di essere messa alla prova. E’ per questo che il rosso ha sempre acceso i sensi del maschio: le labbra rosse di rossetto “mimano” altre labbra situate più in basso, che nel momento dell’eccitazione sessuale diventano iperemiche: dunque, più rosse. Le donne questo lo sapevano, e continuano a saperlo: e tutte, non solo le prostitute, impiegavano tinture per capelli e – appunto – il rossetto.
Rosso e seduzione sono insomma particolarmente legati. Il ruffiano doveva assecondare i gusti della sua clientela maschile e, da buon conoscitore dell’arte della seduzione, non poteva non avere con il rosso legami strettissimi. In effetti, al rosso il ruffiano doveva molto: a cominciare dal proprio nome. Il ruffiano, pur commerciando in puttane, non era insomma un magnaccia: un protettore come lo intendiamo oggi. Essendo la vendita di prostitute perfettamente legale nell’antica Roma, non doveva infatti “proteggere” la sua merce dall’autorità, ma semplicemente renderla più appetibile. Il ruffiano, era, in definitiva, un esperto nel rendere sexy le proprie schiave: un consulente di immagine ante litteram.
Il tipo di lavoro svolto dal ruffiano traspare anche in un suo sinonimo: lenone. La radice di lenone è “lenire”: addolcire, migliorare. Nel tempo, “ruffiano” è passato a indicare non più uno che ha a che fare con delle prostitute e procura la schiava più attraente ad un buon prezzo, ma un mediatore di matrimoni: un sensale.Utile a trovare una moglie brava e senza pretese o un marito lavoratore e buon padre.Anche in questo caso era necessario per il ruffiano saper sottolineare i pregi e nascondere i difetti. Ancor oggi, a Napoli, di qualcuno che si sta prodigando perché una certa unione vada in porto, si dice che ha “ ’e cazette rosse”: le calze rosse. Oggi “ruffiano” viene usato per lo più nel significato di “adulatore”, e la cosa non è in contrasto con quanto detto finora: così come faceva il ruffiano dell’antica Roma, che rendeva più belle le sue “ragazze” per venderle meglio, e il sensale, che amplifica le qualità delle due persone che sta “trattando”, affinchè si piacciano, così l’adulatore (qualcuno direbbe: il leccaculo) “abbellisce”, amplificandoli, i meriti e le capacità del potente con cui sta parlando, al fine di ottenerne un vantaggio. Spesso riuscendoci: pur sapendo perfettamente di avere a che fare con un ruffiano, assai spesso il potere(e non solo) è sensibile all’adulazione. L’arte del ruffiano è comunque truffaldina. E’ per questo che Dante mette i ruffiani (insieme ai seduttori) nell’Inferno, tra i fraudolenti, nella prima bolgia dell’ottavo cerchio.
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