“Malafemmena” è una parola del dialetto napoletano; anche quando è italianizzata in “malafemmina”, la sua origine resta evidente. Altrettanto chiaro è il legame tra questo termine e un grande napoletano: Antonio De Curtis, in arte, e in eterno, Totò.
Totò di femmine se ne intendeva; era notoriamente uno sciupafemmine . Una donna arrivò a suicidarsi per lui, che ne portò il rimorso per tutta la vita. Non si sa quanta esperienza Totò avesse di malafemmene: sappiamo peraltro con certezza, e con esattezza, che nel 1951 il principe compose la famosa canzone intitolata appunto “Malafemmena”.
Molti continuano a credere che l’abbia composta per la maliarda Silvana Pampanini, incontrata sul set di “Quarantasette morto che parla”, e di cui si sarebbe innamorato senza fortuna. Invece no: la figlia Liliana ha più volte raccontato che la canzone era dedicata alla moglie Diana, per rimproverarla di non aver tenuto fede ad un impegno: ormai separati in casa, Diana aveva promesso al marito di non abbandonare la medesima fino a che la loro unica figlia (la Liliana di cui sopra) non avesse compiuto i diciott’anni. Poi però non aveva mantenuto la promessa, e se n’era andata, per sposare un altro uomo.
Con la sua amarissima e bellissima canzone,il termine malafemmena diventata rapidamente celebre, il napoletanissimo Totò contribuì non solo alla sua diffusione ma, evento linguistico straordinario,allo “shift”: allo “scivolamento” di significato di questo termine.
Fino ad allora, la parola “malafemmena” era stata perfettamente sovrapponibile a “puttana”: era soltanto un po’meno cruda, meno dura, così da potersi pronunciare in pubblico. Nella canzone scritta da Totò (al di là della verità storica: semplicemente a rileggerne il testo), la malafemmena non è una donna che concede i suoi favori a destra e a manca: è semplicemente un’ingannatrice, una donna inaffidabile, che fa credere una cosa, e poi ne fa un’altra: una fedifraga, nel senso letterale di “infrangitrice di fiducia”.
La malafemmena di Totò non è dunque una puttana: è una donna cinica, che gioca coi sentimenti del malcapitato caduto nelle sue reti. E perciò lo fa soffrire.
Grazie alla canzone di Totò, la parola “malafemmena” esce dai confini regionali, e acquisisce una certa notorietà in tutta Italia. Modificando un po’ la sua grafia, malafemmena diventerà successivamente “malafemmina”. E come malafemmina verrà utilizzata e pronunciata da milioni di parlanti nativi.
Lo psichiatra e linguista trasformazionalista Claudio Ciaravolo in un saggio sulla selezione culturale,ha evidenziato come straordinariamente anche di quest’altro evento linguistico particolare (l’italianizzazione in malafemmina del termine dialettale malafemmena),si conosce il momento preciso. A veicolare questo cambiamento di vocale è – singolarmente - lo stesso Totò.
Fu lui ad insistere ed ottenere che nel titolo di un film che richiamava la sua già ormai nota canzone ci fosse la i al posto della e.
E’ il 1956, e nelle sale cinematografiche si proietta “Totò, Peppino e la malafemmina” (con la i). Regia di Camillo Mastrocinque. Ne sono protagonisti (come recita il titolo) Totò e Peppino De Filippo, nei panni di due contadini campani in missione a Milano, allo scopo di strappare dalle grinfie della “malafemmina” in oggetto (una splendida Dorian Gray) il proprio nipote, “studente che studia” (un Teddy Reno alle prime armi).
Questo film diventerà un cult e la diffusione del termine malafemmina con la i sarà grandissima. Da“Totò, Peppino e la malafemmina” sono tratti tre situazioni tra le più conosciute ed amate:
l’arrivo dei due a Milano, in piena estate, con cappotto e colbacco, perché “a Milano fa freddo”; l’incontro con il vigile in piazza del Duomo, e la lettera che Totò detta a Peppino.
A conferma del cambiamento di significato del termine malafemmina, nel film di Mastrocinque la ballerina alla quale viene affibbiata questa qualifica non ha nulla della prostituta: è una brava ragazza, sinceramente innamorata del nipote dei due provinciali, che alla fine sposerà, con soddisfazione di tutti.
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