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Rubriche > SOTTO VOCE > Cara amica, ti regalo un orgasmo
Cara amica, ti regalo un orgasmo
Articolo di Anonimi pubblicato il 26/1/2015 (1558 Letture)
Quel corpo lo conosco come le mie tasche. Per le tante volte in cui abbiamo dormito assieme. Quante volte abbiamo sonnecchiato in spiaggia, perfino nude. Con me non dovrà stare in penombra. Non mi preoccupano le rughe, le smagliature, le cicatrici. La trovo incantevole e non credo di essere semplicemente lesbica. Credo di concedermi a lei come non mi concederei a nessun altra.


La masturbazione? Gliel’ho insegnata io. Non riusciva a farlo e non chiedeva aiuto. C’è questo brutto vizio delle donne che non riescono a parlare dei propri disagi sessuali. Ti chiedono come cucini quella tal ricetta, dove hai comprato la camicia, come riesci a fare venir lucido il pavimento, dove vai a bere la sera, quale libro compri, che film hai visto, ma non ti chiedono mai “come fai a procurarti piacere?”. Si vede lontano un miglio che è in grande difficoltà. Provo a parlarne. Mi dice “c’entra l’età” e io rispondo che sono cazzate.


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La figa non smette di funzionare quando superi i 50. Ce l’hai ancora lì, umida, carnosa, accogliente e dovresti aver imparato qual è la strada per far rimbalzare le dita sulla clitoride. Puoi accarezzare quel che c’è attorno, nel frattempo tiri via un copri seno per spararti il capezzolo in bocca e se riesci a leccarti e a toccarti allo stesso tempo, chiudi gli occhi, e l’eccitazione è tanta. Puoi aiutarti con un porno. E lei mi dice no, perché non le piace. Gliene propongo un paio.



C’è una tizia sbracata sul divano e la raggiunge un’altra donna che la prende con passione, la gira, la rigira, la tiene in sospeso, la sua ansia e l’attesa di godimento diventano la tua ansia e la tua attesa e l’eccitazione sale. Oppure c’è quello del tipo, un gran bel tipo, che fa un cunnilingus meraviglioso. Puoi imparare moltissimo dai porno, sai? E nel frattempo ti tocchi. Non c’è nulla di cui vergognarsi. Possiamo guardarlo insieme. Mi dice: no, non voglio. Mi vergogno. Confessa di aver guardicchiato qualcosa ma non aveva goduto. I sensi di colpa erano tanti e tali e poi c’era la sua cultura religiosa, e tutte le storie del rispetto delle donne.



Le mostro una scena online e dico: scusa, la vedi soffrire? E lei risponde che no, in effetti, quella gode, e non è come le principianti che fingono, si leccano le labbra e sfiatano peggio di una ruota che si sgonfia e fanno gridolini artificiali, senza abbandonarsi mai. I video che scelgo io sono coinvolgenti perché l’attrice si lascia coinvolgere, perciò stabiliamo che quel che eccita l’attrice si trasforma per la mia amica in altrettanta eccitazione. Più la protagonista del video è eccitata e più le sale il piacere. Intenso. Bagnato. Caldo. Ed è a quel punto che mi dice, per scherzare, che avrebbe voglia di una lingua disponibile. Io, seria, rispondo: non ho alcun problema. Sei la mia amica. E’ la mia amica.



Vorrei che lei sapesse com’è il piacere di cui le avevo parlato io, quello che non si era mai concesso, quello che suo marito, in tanti anni, non le aveva dato. Vorrei che lei godesse di un godimento vero, quello per il quale non devi pagare nulla, non devi scontare alcuna pena, nessuna promessa di possesso, nessun catena. Io ti lecco, tu godi e poi siamo amiche come prima. Cosa c’è, in fondo, di più amichevole che insegnarti a recuperare piacere? Almeno sai quello che devi chiedere e sai che non è tua la colpa per i tuoi orgasmi mancati. Mi dice che non ce la fa. Si vergogna troppo. La tocco in viso, le sfioro le spalle, le dico di chiudere gli occhi perché quel che succederà potrebbe venire da chiunque. Fidati, le ordino. Fidati davvero. Con me sei al sicuro. E non sprofonderai all’inferno per questo. Che diamine. Quanti tabù di merda ti hanno trasmesso i tuoi genitori.



Un po’ si lascia andare. Chiudo le immagini del computer. Le chiedo di concentrarsi su se stessa, sulle sue sensazioni. Voglio che mi dica quello che sente. Le accarezzo le mani, piano, gliele bacio. Sfioro le braccia, gli incavi, di là dei gomiti, la linea del collo, i seni. La spoglio, le chiedo di mostrarsi e di non aver paura. Per me è bellissima. Quel corpo lo conosco come le mie tasche. Per le tante volte in cui abbiamo dormito assieme. Quante volte abbiamo sonnecchiato in spiaggia, perfino nude. Con me non dovrà stare in penombra. Non mi preoccupano le rughe, le smagliature, le cicatrici. La trovo incantevole e non credo di essere semplicemente lesbica. Credo di concedermi a lei come non mi concederei a nessun altra.



La bacio sui fianchi. Ti ha mai baciato nessuno in quell’angolo di pelle? Su, dimmi. E’ no, e io già lo sapevo. Nessuno mai l’aveva baciata lì. Mi piace, fa, e io proseguo. Quando mi concentro sulla pelle che regola i suoi orgasmi lei apre di colpo gli occhi, vuole rendersi conto, vuole sapere chi le sta procurando tanto piacere. Mi guarda teneramente, mi sfiora la guancia con la mano. Poi si offre, inarca la schiena e chiede la mia bocca, e io mordo, succhio, gusto quella parte inconsapevole, mentre lei preme e io rido quando la sua mano poggia sulla mia testa. Più giù, chiede, ancora più giù.



Ride anche lei, e perde ogni frammento di imbarazzo, getta via il lembo di un tessuto con il quale tentava di proteggersi alla mia vista. Espone il suo addome morbido, il suo seno vissuto, le sue cosce ancora toniche e quei glutei. Glieli prendo tra le mani, li spremo mentre indugio con la bocca, e lei si perde, non capisce più niente, rimbalza, ruota, mi trascina con se’ e respira sempre più forte, geme, prova a contenere l’urlo e poi non più. La sua voce riempie la stanza, il palazzo, il quartiere intero, e lei gocciola, pulsa, con le cosce a muscoli contratti e poi rilasciati, con quella bocca che preme sulla mia e infine viene, con le mie dita a misurare il piacere e le mie labbra a leccare il suo godimento.



Mi prende il viso, mi bacia, ed è riconoscente. Non avevo mai provato una cosa così. Lo so, le dico. E’ questo che devi cercare, se è questo che ti piace. Non accontentarti di qualcosa di meno perché tu sei meravigliosa e non meriti meno di questo. Mi abbraccia forte, poi torna a proteggere il suo corpo col tessuto. La magia è finita. Ho fame, annuncia, e oscilla un po’ per recuperare l’equilibrio e un andamento certo. Raggiunge la cucina, mette sul fuoco qualcosa. Poi ci ripensa, è rivestita dalla testa ai piedi, torna da me. Mi guarda, ridiamo e mi regala un “grazie”. Prego, cara, non c’è di che. Non c’è di che. Davvero.



Ps: questa è una storia vera. Grazie a chi me l’ha raccontata. Ogni riferimento a cose, fatti e persone, è puramente casuale.



 


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