Registrare o filmare, di nascosto, una conversazione tra privati, utilizzando un cellulare o un altro apparecchio di ultima generazione (senza essere stati, tuttavia, autorizzati da un giudice, dalla polizia, dai carabinieri o da qualsiasi altra autorità pubblica) allo scopo di prevenire eventuali illeciti nei nostri riguardi (un’ingiuria, una minaccia, ecc.) o per precostituirsi la prova di una confessione che ci consenta di esercitare un nostro diritto (per es. l’ammissione del debitore del mancato pagamento), non costituisce né reato, né lesione della privacy; ma ciò vale solo a determinate condizioni che qui di seguito vedremo.
Le registrazioni e le intercettazioni
Attenzione: quando parliamo di registrazioni non ci stiamo riferendo alle cosiddette “intercettazioni”. Queste ultime sono le attività di indagine svolte dalle pubbliche autorità nei confronti di terzi, i quali sono tutti all’oscuro del fatto che le loro parole sono captate dalle forze di polizia. Lo scopo è, appunto, quello di prevenire la commissione di reati o di individuare i relativi colpevoli una volta che i reati siano stati già commessi.
Le intercettazioni devono essere previamente autorizzate da un giudice che deve fissare, con precisione, gli ambiti temporali e geografici entro cui tali attività di indagine devono svolgersi.
Al contrario, la registrazione è un’attività che può essere svolta da qualsiasi privato cittadino, di propria iniziativa, e senza la previa autorizzazione da parte di un magistrato. Lo strumento utilizzato può essere un registratore, uno smartphone, un computer o una piccola telecamera nascosta. Non ci sono limiti agli strumenti che possono essere utilizzati, ma è chiaro che tanto più è affidabile il metodo di registrazione, sotto l’aspetto tecnico, tanto più difficile sarà contestare la corrispondenza al vero delle voci e dei suoni così memorizzati.
Inoltre, nella registrazione, al contrario che nella intercettazione, almeno uno dei soggetti (colui che registra) è al corrente del fatto che le dichiarazioni stanno per essere memorizzate su un supporto duraturo (nelle intercettazioni, come avevamo detto, tutti i soggetti sono ignari di ciò).
Quando la registrazione di una conversazione è lecita
In generale, è lecito registrare o filmare una discussione tra presenti, e ciò perché, come afferma la Cassazione [1], “chi dialoga accetta il rischio che la conversazione sia registrata”. Ciò vale a maggior ragione quando chi registra lo fa per tutelare un proprio diritto. Del resto, la registrazione altro non è che la documentazione di quanto è stato già appreso. Essa, dunque, serve principalmente per precostituirsi una prova in caso di un eventuale processo, al fine di poter esercitare il proprio diritto alla difesa, sancito dalla Costituzione.
Diverso, invece, sarebbe il caso di chi registri una confidenza di una persona (per esempio, un tradimento extraconiugale) solo per ricattarla.
Perché però possa essere considerato lecito registrare le dichiarazioni di un’altra persona ignara di ciò è necessario non trovarsi all’interno della sua abitazione, residenza, dimora, ufficio, automobile o in qualsiasi altro luogo ove si svolge la sua vita privata. Lo stesso vale anche in qualsiasi altro luogo di pertinenza della persona spiata: si pensi all’abitazione dei genitori, del fidanzato/compagno, ecc.. Diversamente scatterebbe il reato di illecita interferenza nell’altrui vita privata [2]. Ciò non avviene, invece, nel caso di registrazione avvenuta su una pubblica via, su un mezzo pubblico, in una palestra o in altro luogo di ricreazione, all’interno di un ufficio pubblico, ecc.: in tali casi, infatti, non scatta alcuna violazione della privacy.
Medesima considerazione vale nel caso di filmato video: la ripresa, effettuata con uno spartphone o qualsiasi altra telecamera, deve essere interdetta nei luoghi di privata dimora.
Tale divieto vale, però, solo se a registrare sia il terzo “estraneo”, ossia colui che non è titolare della abitazione, auto, ufficio, ecc. Invece, ben potrà effettuare la registrazione l’altro soggetto, che appunto si trova in casa propria, nella propria automobile, nel proprio studio, ecc. Un professionista potrebbe registrare, per esempio, le dichiarazioni del cliente seduto al di là della scrivania. Allo stesso modo, chi guida la propria vettura può registrare le dichiarazioni del trasportato, e così via.
Negli ambienti di lavoro, invece, esistono regole più ferree, posto il divieto di strumenti di controllo a distanza nei confronti dei dipendenti. È tuttavia vero che la giurisprudenza ha considerato valida la sottrazione, da parte del lavoratore, di documenti riservati di azienda se utilizzati per far valere un proprio diritto in processo.
La registrazione deve rimanere segreta
Il fatto che si sia validamente registrata una conversazione tra terzi non implica però il diritto di diffonderla o, peggio, di pubblicarla su un social network come Facebook o, magari, di girare tramite email il file audio contenente le voci delle persone spiate. La registrazione, infatti, deve servire – come sopra anticipato – alla tutela di diritti innanzi a un giudice e non per triviali fini di pettegolezzo, diffamazione, ecc. Se non viene rispettato questo paletto potrebbe scattare il reato di lesione della altrui privacy.
Pertanto, solo in due casi è consentito diffondere a terzi le registrazioni con le dichiarazioni altrui:
– se c’è il consenso dell’interessato
– se avviene con lo scopo di tutelare un proprio o un altrui diritto. Si pensi al caso di Tizio che faccia sentire la conversazione al proprio avvocato perché lo consigli se sporgere querela o meno. O al caso di Sempronio che invii il file a un ispettore per poter continuare le attività investigative ed, eventualmente, farle poi valere in causa.
Utilizzo nel processo civile
Nell’ambito del processo civile, vi è sempre stata una tendenza ad escludere quelle che non sono le prove “tipiche” contemplate dal codice di procedura e, tra queste, non vi è la registrazione (prove tipiche sono invece la scrittura privata come il contratto, l’atto pubblico come quello notarile, la testimonianza, la confessione, il giuramento). La registrazione potrebbe, tuttavia entrare nel processo perché considerata uno dei cosiddetti mezzi di “riproduzione meccanica” che fanno prova solo se non contestati dalla controparte. Facile però sarebbe confutare l’attendibilità di una registrazione se non viene corroborata anche da una testimonianza a supporto dei fatti in essa rappresentati.
Una volta che venga richiesto di acquisire la registrazione il giudice nomina un CTU (consulente tecnico d’ufficio) che provvede a trascriverla (sbobinamento) e a trasformarla in un documento cartaceo.
Utilizzo nel processo penale
Nel processo penale, invece, l’acquisizione delle registrazioni effettuate da terzi viene ammessa con maggiore elasticità. Così chi voglia ottenere la punizione di un altro soggetto per il reato da questi commesso, oppure dimostrare in un processo, in cui egli stesso è parte, una determinata circostanza, può utilizzare la registrazione eseguita e presentarla al giudice penale. Non è necessario che la registrazione sia stata materialmente eseguita proprio dal soggetto che poi, nel processo, la utilizza; ben invece potrebbe essere stata compiuta da un’altra persona e poi a quest’ultimo consegnata.
All’interno del processo penale, la registrazione costituisce prova documentale e pertanto è liberamente valutabile dal giudice. Il giudice, cioè, deve valutare l’attendibilità delle dichiarazioni, l’eventuale formulazione delle domande, lo stato delle parti e la serietà delle espressioni utilizzate, il tono della conversazione, l’inequivocità delle dichiarazioni, il contesto, ecc. Tutti tali elementi potrebbero portare il giudice a non considerare affatto la registrazione come prova oppure, al contrario, portarla a fondamento della propria decisione definitiva.
Nell’ambito del processo penale la registrazione può essere consegnata immediatamente con la querela, se con la stessa si vuole dimostrare l’esistenza del reato. Si potrebbe anche presentare in un altro momento delle indagini. Nel corso del processo se ne può chiedere l’acquisizione al Tribunale. Non è necessario che la registrazione venga trascritta da un esperto (consulente) poiché è la stessa registrazione ossia il nastro o l’apparecchio sul quale è impressa che costituisce la prova documentale. Saranno il Pubblico Ministero oppure il Tribunale a nominare – solo eventualmente – un consulente, nel primo caso, un perito, nel secondo, per procedere alla sua trascrizione.
In ogni caso la parte del processo (indagato, imputato, parte offesa, parte civile) è libero di nominare un proprio consulente e produrre la registrazione all’Autorità insieme alla trascrizione.
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