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Rubriche > SOTTO VOCE > Vi racconto perché per me essere “sottomessa” è speciale
Vi racconto perché per me essere “sottomessa” è speciale
Articolo di Anonimi pubblicato il 26/1/2015 (1519 Letture)
Quando sento parlare la mia amica dei suoi rapporti, mentre lei ridacchia vergognandosi di pronunciare i nomi propri degli organi sessuali mi sento un’aliena. Sono stata così confusa per tanto tempo. Mi sentivo strana, difettosa, anormale. Pensavo di essere sbagliata. Poi ho deciso che non è così. Io sono giusta per me. Lui è giusto per me. La sessualità e il piacere sono ambiti nei quali nessuno dovrebbe interferire. E’ il mio piacere e io so come ottenerlo e come chiederlo. Nessuna può dirmi, in nome della mia sicurezza, che non dovrei provare piacere in questo modo.


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La cosa che mi imbarazza di più è stare nuda, in piena luce, sotto il suo sguardo impietoso. Non che la nudità mi metta a disagio ma è proprio lui che mi fa sentire così. Voglio piacergli e ho sempre il dubbio che nel mio corpo ci sia qualcosa che non lo eccita abbastanza. Lo vedo esitare. Mi osserva serio e io sento addosso gli anni, la pelle che ha ceduto in qualche punto, i glutei, ecco, quelli no, mi piacciono ancora e la linea della schiena penso sia bella.



Quello che c’è tra noi è un rapporto in cui la sorpresa è consentita. Io non so quel che lui avrà voglia di farmi. So solo che mi farà male e che il giorno dopo io mostrerò orgogliosamente i lividi che mi lascerà addosso. Sono io che lo chiedo e lui nella mia camera si trasforma. Diventa ciò di cui ho bisogno. Si avvicina e mi trascina lì sul tavolo. Chinata, vuole la mia schiena, e io mi sento più sicura. Fa scivolare la sua mano lungo la colonna vertebrale e poi molla uno schiaffo sulla coscia, dove fa più male. Completamente vestito, senza concedermi l’agio dell’intimità. Mi lega mani e piedi e continua a schiaffeggiare la mia coscia finché non resta un segno rosso che domani sarà l’impronta viola della sua mano.



Voglio che si avvicini ai punti che mi danno più piacere ma che arrivi piano, facendomi aspettare e mentre mordo la mia pelle, lì sul braccio, lui siede e invita me a sedermi in braccio a lui. Mi muovo con difficoltà e perdo tempo apposta perché so che mi punirà. Sedendomi perdo l’equilibrio e sento per un attimo le sue labbra sulla schiena. Poi lui mi afferra per tenermi ancorata e la sua mano continua a schiaffeggiare la mia coscia. Stringe forte un fianco e poi rilascia. Morde la mia spalla e io sento che si sta eccitando.



Ogni volta che esibisco i lividi so che pensano che io sia malata e lui ancora di più, ma non capiscono, non sanno, che tutto quel che accade è consensuale. E’ l’unico che sappia darmi piacere. E mi afferra prendendomi in braccio, poi lentamente mi consegna al letto ed è il primo momento in cui lo guardo. Adoro la sua espressione eccitata, la passione, negli occhi non c’è affatto ira. Lui non è un violento, è solo innamorato. Vorrei che si capisse questa cosa, perché è vero che l’amore non è violenza, ma un rapporto tra slave e master è diverso. E’ consensuale, capite? Con-sen-sua-le. E basta così. Inutile dire che io odio dover dare spiegazioni e odio sentire su di me la compassione dell’amica che immagina di dovermi salvare dall’unica persona che mi fa godere.



Ricevo ora uno schiaffo e stringe forte i seni. Li tiene tra le mani e affonda le dita fino a farmi male. Si insinua nella mia carne e lo sento così vicino mentre ansimo e gli consegno tutto il mio piacere. Non è possibile che ciò ti piaccia, dice la mia amica. Le spiego che non c’è soddisfazione nella gestione di un potere perché la potenza è quel che unisce i nostri gesti, come fossero sincronizzati. Quasi lo anticipo mentre sta per schiaffeggiarmi. Gli mostro i punti in cui mi fa più male, inarco la schiena e soffro del fatto di non poterlo abbracciare. Non ho le mani a mia disposizione, non sono io ad avere il privilegio di sentire al tatto la sua pelle e lui ancora non si spoglia.



Si abbassa e fa per baciarmi. Annusa le mie labbra, poi le morde. Non molto, ma giusto quel tanto che basta per farmi sanguinare. Adoro sentire il gusto del mio sangue. Lo vedo attaccato debolmente alla sua bocca, allora si riabbassa e macchia la sua carne perché vuole condividerlo con me. Poi mi accarezza, col pollice massaggia il labbro ferito e io chiudo gli occhi. Sono eccitata. Mi piacciono i morsi e lui me ne regala un altro sulla spalla, sento un altro schiaffo sul seno e poi si lascia accarezzare con le gambe le sue cosce nude.



Lo so che non capite, ma non è mio compito farvi capire. E’ vostro compito chiedermi se sono felice di questo rapporto e se io dico di si, chi siete voi per negare la mia autodeterminazione? Non dirlo, non parlarne, mi impone la mia amica. Altre potrebbero voler imitarti e scambiare la violenza per amore. Allora spiego ancora, per l’ennesima volta, che è tanto diverso. La violenza non è consensuale. C’è lei che non gode di certo e lui che è un sadico che ama gestire un potere. Quello che succede a me è concordato, lui sente che mi piace, e se qualcosa non mi piace io posso sempre dire la mia safeword e lui smette subito.



Scioglie la corda ai piedi per permettermi di allargare le gambe. Non vuole ancora darmi quel che voglio. Mi sente soffrire e godere. Ho una spalla dolorante e stringo il labbro ferito per spremere altro sangue. Mi affido a lui completamente. Mi fido di lui e di nessun altro. So che non mi farà mai del male. Per voi forse è assurdo sentirlo ma è proprio così. Mi penetra con le dita ed è così rilassante, piacevole e allo stesso tempo doloroso. Vuole che io cambi posizione e ora sono in ginocchio, su di lui. Non vuole più giocare, mi provoca, mi lascia al freddo e senza il tocco delle sue mani. Sono sopra di lui ma lui è impassibile e sul suo viso leggo la soddisfazione perché riesce sempre a disorientarmi. Mi lascia così smarrita, senza forze, eppure mi sento a casa, non so come spiegarlo altrimenti.



Quando sento parlare la mia amica dei suoi rapporti, mentre lei ridacchia vergognandosi di pronunciare i nomi propri degli organi sessuali mi sento un’aliena. Sono stata così confusa per tanto tempo. Mi sentivo strana, difettosa, anormale. Pensavo di essere sbagliata. Poi ho deciso che non è così. Io sono giusta per me. Lui è giusto per me. La sessualità e il piacere sono ambiti nei quali nessuno dovrebbe interferire. E’ il mio piacere e io so come ottenerlo e come chiederlo. Nessuna può dirmi, in nome della mia sicurezza, che non dovrei provare piacere in questo modo.



Quando lui smette di lasciarmi al freddo, così in attesa, mi copre col lenzuolo, sussurra quel che vuole, mi chiede piano di obbedirgli e io obbedisco e piango perché il piacere è infinito e vorrei che non finisse mai. Vorrei restare ancora lì, con lui, a vivere il mio momento di intenso incontro con la sua pelle. Mi consolano i momenti in cui mi masturbo pensando a lui, accarezzando le ferite e i lividi e aspettando solo il momento in cui succederà ancora. Sono riuscita a dirvi perché per me essere slave è speciale?



Ps: questa è una storia vera. Grazie a chi me l’ha raccontata. Ogni riferimento a cose, fatti e persone, è puramente casuale. 



 


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