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Rubriche > SOTTO VOCE > Novelle in poche righe – Sonno
Novelle in poche righe – Sonno
Articolo di Anonimi pubblicato il 3/12/2015 (1944 Letture)
meravigliaNon riusciva a dormire. A volte soffriva di dolori sparsi, aveva sbalzi di pressione e di umore, era colta da lunghi momenti di ansia, di irrequietezza. La sentiva rigirarsi sul letto anche se cercava di non fare rumore, ma non potendo fare a meno a tratti di lamentarsi seppure sommessamente. Che cos’hai, le chiese sottovoce. Non lo so, rispose lei, non lo so… non riesco a prendere sonno.


Anche lui aveva i suoi acciacchi, mal di pancia, reumatismi, periodi di depressione e di insonnia. 


donnasola


Sentirla così lo faceva stare male e non sapeva che cosa dire per tranquillizzarla.
Col tempo tutte le preoccupazioni, le angosce, le tensioni, quotidiane e non, si erano accumulate sui loro corpi quasi a formare una patina dura, rigida, che rendeva difficoltosi i movimenti, il respiro. Col tempo e quindi pure con l’età ‒ le membra che non rispondevano più come una volta, ne aveva coscienza. Entrambi ne avevano coscienza. E il tempo a questo punto della vita sembrava non bastare più.



Correva. Ma nessuno dei due poteva dire verso dove. Correva.
A letto invece pareva non passare mai. Il sonno che svaniva, i pensieri che si accumulavano e le parole che non suonavano adatte né all’uno né all’altra. Benché distesi vicini, abbracciati, benché in cerca di conforto reciproco. Difficile però da chiedere e da dare.



Notti interminabili. E la mattina dopo nessuno dei due si sentiva riposato. I nodi rimanevano, tenendo schiacciati al fondo di loro i sogni, i desideri, tutto ciò che nella vita avevano voluto, perseguito e temevano da un po’ di tempo di avere perso. Anche se sapevano che erano ancora da qualche parte lì dentro, sepolti nel buio. Ma chiedevano luce e potevano tornare a galla per strade impreviste.
Togliti le mutandine, le disse a un certo punto. Perché. Toglitele. Lei se le sfilò. Lui si mise in ginocchio, la fece distendere bocconi, le sollevò la maglietta e cominciò a massaggiarla a partire dalla base del collo, scendendo lungo la spina dorsale. Lei emise un mugolio di piacere e lui continuò a distenderle i muscoli della schiena con pressioni prima lievi e poi sempre più decise, fino a che non li sentì rilassarsi del tutto.



Passò alle spalle, alle braccia, ai polsi per concentrarsi dopo un po’ sulle anche, le cosce, i polpacci, i piedi e risalire quindi fino alle natiche che lentamente abbandonarono la loro rigidità. Lei teneva gli occhi chiusi e sospirava come di sollievo. Lui stava pian piano sciogliendo i suoi nodi, pensò. Almeno per quella notte.
La fece voltare supina, le tolse la maglietta e carezzò i seni, stringendoli con delicatezza alla base e facendo lievi pressioni sui capezzoli. Manipolò con le dita pure i muscoli irrigiditi fra il collo e le spalle, la pancia, il basso ventre, affondò i polpastrelli fra i peli del pube assorbendo il suo fiato che ora usciva più lento e regolare, le allargò le gambe e passò più volte le mani sulla parte interna delle cosce, dalle ginocchia fino alle grandi labbra della vulva. Lei ebbe piccoli sobbalzi, privi però di tensione, simili piuttosto a ondeggiamenti morbidi accompagnati da nuovi sospiri.
La massaggiò a lungo fra le gambe guardando nella penombra il suo corpo che si distendeva, gli occhi sempre chiusi ma ora non più serrati, la pelle e la carne che si illanguidivano, il respiro che le sollevava i seni, i capezzoli inturgiditi che parevano cercare spazio verso l’alto, tentare di cancellare strati di buio dalla camera, protendersi verso di lui che adesso le stava inginocchiato accanto. Si tolse anche lui gli indumenti intimi e riprese a carezzarle il corpo senza fretta.



Le mani lo percorrevano in tutta la lunghezza, fino ai lunghi capelli sparsi sul cuscino, le braccia e le gambe abbandonate, aperte come se lei volesse dilatare il proprio volume, la propria presenza nel mondo e pure il tempo. Il tempo che cominciava a sembrarle troppo breve: temeva che troppo presto sarebbe stata ora di alzarsi e lui avrebbe smesso di toccarla.
Ma lui non smise. Ed era ancora notte fonda. Diminuì via via la pressione delle mani sulla pelle, sfiorandola ora, toccando a tratti le labbra della vagina che si stavano gonfiando, umide di umori. E lei si sentì invadere da un senso di rilassamento ancora più profondo che si diffuse per tutte membra e pian piano la immerse in una specie di dormiveglia vigile, attento a ogni contatto, a ogni ulteriore pressione delle dita.



Una vibrazione lieve sorse poi a ondate dalle sue viscere, simile a un orgasmo privo però di spasmi, appena percettibile e allo stesso tempo denso, spesso come una coperta.
Mugolò sommessamente, sospirò e quando tornò a distendersi gli poggiò sul petto la testa e un braccio. Lui l’attirò verso di sé, quasi a coprirsi con il suo corpo, e l’abbracciò mentre scivolava nel sonno. Pochi minuti dopo si addormentò anche lui, cullato dal respiro che gli sfiorava la pelle e dal calore di una mano abbandonata sul pene.


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Dall'alto della mia enciclopedica esperienza in materia, che in termini per-centuali riguarda per il novantacinque per cento il mio consorte, posso ben affermare che soffrire, per un uomo, non serve a niente. Se si soffre, significa che l'oggetto della sofferenza ha fatto qualcosa che ha fatto nascere in te la sofferenza, quindi al male NON bisogna rispondere col male, nostro;  tipicamente ti ha tradito o peggio ancora ti ha tradito confessandotelo.

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