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Rubriche > DIALOGO CON L'EDITORE > E quale titolo si utilizza per monaci e frati?
E quale titolo si utilizza per monaci e frati?
Articolo di Giuseppe Piccolo pubblicato il 12/4/2023 (626 Letture)
Gentile editore, forse la mia le sembrerà una domanda banale. Può però spiegarmi la differenza tra “padre” e “don”?

jesusIl termine “don”, come si legge nel vocabolario Treccani, è un
“predicato d'onore che si antepone al nome e al cognome di
ecclesiastici secolari”, cioè dei preti e dei diaconi diocesani.
La stessa parola è anteposta al “nome di battesimo dei componenti
le famiglie insignite di titoli di principe e di duca o dell'alta
aristocrazia”.




 



Nell'Italia del Sud è, infine, un “titolo di
rispetto che si premette di solito al nome proprio di ogni persona di
riguardo, con uso analogo a quello di signore. La derivazione è
sempre la stessa: dal latino dominus,
che significa “signore, padrone”. In altre parole, è come
rivolgersi a una persona chiamandolo “signor”. E' un uso soltanto
italiano. Nei Paesi anglosassoni i preti sono sempre
chiamati father, “padre”.
Quest'ultima parola, nel nostro Paese, è un titolo reverenziale
rivolto a monaci e frati che siano sacerdoti (ad esempio: padre Pio).
A volte il termine si premete a una qualifica, come, ad esempio: i
padri francescani, il padre provinciale, il padre priore, ecc. Lo
stesso Papa è chiamato Santo Padre.



C'è da dire che il termine non
si usa per tutti i religiosi: i Salesiani o i Paolini non sono
chiamati “padre”, ma con l'appellativo “don”. Al di là della
terminologia, che risente delle abitudini e ha un'importanza
relativa, ciò che conta è se noi preti siamo davvero “padri”,
capaci di comunicare l'amore dell'unico vero Padre, quello dei cieli


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  • 20/11/2008  Sono Miriam di Milano  Sono Miriam di Milano vorrei dirvi ...
  • 7/9/2008  Luisa Casalnuovo (NA) - Italia -  Ho letto le vostre rubriche eccezionali e o visto le foto sui tifosi belle
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ALLUCINAZIONEL'allucinazione (dal latino alucinatio, derivato da alucinari, "vaneggiare, delirare") indica lo stato psichico in cui un individuo percepisce come reale ciò che è immaginario. Nell'allucinazione l'Io non è in grado di controllare le delimitazioni di quanto appartiene al corpo, oppure colloca le sue percezioni al di fuori di esso: questo processo induce a vivere il corpo come staccato da sé, oppure a sentire la realtà esterna come interna al proprio corpo. Il carattere 'proiettivo' delle allucinazioni, che fa pensare ai simbolismi e agli archetipi, agli affetti primitivi e alla potenza evocatrice dei desideri e delle paure, fa apparire le attività allucinatorie come pulsioni arcaiche che oltrepassano l'esercizio usuale degli organi di senso.

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