Nel mondo, negli ultimi decenni, le diseguaglianze sono aumentate; i ricchi sono sempre più ricchi ed il modello, secondo il quale, il loro miglioramento avrebbe trascinato anche quello delle nazioni più povere non si è avverato, almeno in buona parte del continente africano.

E poi, la televisione e internet hanno fatto il resto, hanno fatto vedere come si vive nel mondo ricco dove spesso il problema è la dieta, mentre in molti altri paesi mancano acqua potabile, cibo (o viceversa si ingrassa per il cibo spazzatura economico) e medicine; d’altra parte non è successa la stessa cosa con l’Albania dove i cittadini, di nascosto, guardavano Rai1 e sognavano l’ Italia, salvo poi accorgersi che non è sempre oro quel che luccica.

Purtroppo, in Europa, si paga una scarsa lungimiranza della classe politica post coloniale; l’idea, comune a destra ed a sinistra, che il proprio compito fosse quello di migliorare le condizioni di vita dei propri cittadini, (e di vincere le sempre vicine elezioni) ha impedito di pensare ad una “equità globale” della quale sicuramente avrebbe tratto un grande vantaggio anche l’Europa, in particolare per quanto riguarda il grande potenziale del mercato africano per la vendita dei propri prodotti.
Ora occorrerebbe che la politica facesse uno scatto di cui non si vede neanche un lontano barlume; e così destra e sinistra continueranno a litigare su cosa fare; se buttarli a mare o, cinicamente, tenerceli buoni per i lavori che noi non vogliamo più fare e, magari, per pagarci le future pensioni.
Una sconfitta per una intera classe politica.
Ma vediamo alcuni dati illuminanti. L’Egitto ha visto aumentare la propria popolazione da 44 milioni di abitanti nel 1981 a 80 milioni oggi; l’Etiopia oggi ne ha oltre 90 milioni; il Congo, che nel 1959 aveva appena 16 milioni di abitanti, oggi ne conta 72 milioni; l’Uganda cinquant’anni fa contava appena 7 milioni di abitanti e ora ne conta 35 milioni e il Burundi da 2,8 milioni nel 1959, oggi sfiora i 10 milioni. Le proiezioni demografiche dicono che tali cifre cresceranno ancora, ma sarà possibile o interverranno fattori esterni, da guerre a carestie a malattie, ad autoregolare la popolazione? Nel contempo, le risorse scarseggiano e le curve di produzione e consumo di petrolio per molti paesi esportatori si sono incrociate o stanno per farlo. Si chiama “land export model”, ovvero il momento in cui un paese prima esportatore di petrolio, improvvisamente e quasi da un giorno all’altro, per il mix di aumento popolazione e di consumi interni con calo di produzione (picco del petrolio), non è più in grado di esportare, con conseguenze economiche e sociali talvolta devastanti. E’ successo all’Egitto, sta succedendo allo Yemen e in un futuro non lontano potrebbe capitare anche al Messico e Venezuela che potrebbero essere i candidati alla destabilizzazione e del resto alcuni segnali già si notano.
Tornando all’Africa, ai primi del ’900 era alimentarmente autosufficiente e fino a 50 anni fa esportava derrate alimentari in abbondanza, poi l’autosufficienza è crollata dall’89% nel 1971 ai giorni nostri in cui importa circa un terzo del suo fabbisogno. Per sapere quello che è successo dopo non sono necessarie le statistiche, basta guardare le drammatiche immagini che ci giungono dal Continente Nero. In sostanza, un secolo fa si faceva quasi la fame in Europa e abbiamo ben pensato di risolvere i nostri problemi saccheggiandolo.
Oggi centinaia di migliaia di persone cercano di sbarcare sulle nostre coste.
Ora analizziamo i diversi modi di affrontare questo problema.
Come è stato sottolineato, con una definizione più burocratica che di contenuto, molti dei migranti non sono rifugiati politici nel senso stretto, marifugiati “economici”; essi continueranno a cercare di venire in Europa e nessun governo, di nessun colore potrà arrestare questa moltitudine di persone che, rischiando la pelle, e pagando notevoli somme, cerca per sé e per i propri cari un destino migliore. E chi non farebbe la stessa cosa, trovandosi nella medesima situazione? Ma forse chi ritiene che la cosa più giusta da fare sia accoglierli, farebbe bene a pensare quali speranze e prospettive avranno gli immigrati che arrivano clandestinamente nel nostro paese.
Fare lavori in nero, mendicare per le strade, rubare per sfamarsi? Competere in lavori sottopagati con italiani sottopagati?
La politica dell’accoglienza è veramente la strada giusta, soprattutto in un periodo di crisi? O è forse solo una pia illusione di sognatori senza nessun fondamento concreto? In Africa ci sono circa 500 milioni di persone che sono in situazioni di difficoltà o per guerre o per carenze alimentari; potremo realisticamente accoglierli tutti?
Non sarà forse meglio sviluppare politiche europee di cooperazione seria e non finalizzata a produrre profitti per le nostre imprese o per dittatori corrotti?
Gli Stati Uniti hanno cercato di arginare un analogo fenomeno, costruendo un muro che avrebbe dovuto correre per 3.000 chilometri lungo la frontiera col Messico; nonostante i controlli sempre più serrati, quasi più di mezzo milione di sudamericani, ogni anno, riesce ad immigrare clandestinamente negli Stati Uniti. In Australia si è scelto di delocalizzare i centri di detenzione; uno si trova sull’isola-stato di Nauru; l’altro è in Papua Nuova Guinea e un altro ancora nella sperduta isola di Natale, dal nome beffardo per la solidarietà. Qui vengono rinchiuse a tempo indeterminato le persone che arrivano sulle coste australiane via mare senza il visto necessario. I richiedenti asilo, pur senza aver commesso reati, si ritrovano per anni in carcere, senza la possibilità di ricevere visite, in attesa di sapere se hanno diritto ad ottenere rifugio in Australia o se devono tornare da dove sono venuti. Comunque, il risultato è che dai 4.500 del 2011 si è passati ai 17mila del 2012e nei primi sei mesi del 2013, sono arrivate via mare oltre 15mila persone.
E pensare che i veri e primi clandestini, in Australia come nelle Americhe, furono gli inglesi e gli europei che invasero, distrussero sfruttarono e saccheggiarono i popoli nativi. Del resto facile dire che Australia, Canada e in parte gli Usa, offrono opportunità ai nostri nuovi emigranti magari con laurea e dottorato di ricerca; pur sotto pressione di ondate migratorie hanno a loro vantaggio la geografia che pone da freno e una vastità di territorio, ricco di risorse, ben più grande di noi in cui la popolazione è, vedi Canada e Australia, addirittura inferiore alla nostra. Opportunità o egoismo dunque? E se gli indios e indigeni avessero potuto contingentare gli arrivi?
Come affrontare il problema? Non è facile, non è questione solo di regolamentare gli accessi, chi non riesce e si trova ad affrontare guerre, epidemie, povertà ci proverà sempre o per lo meno fino a che certi problemi, latenti, non esplodono anche nei nostri paesi per ora ricchi.
Un noto film, The Day After tomorrow, nel finale con il clima che, impazzito, mette in ginocchio gli Usa mostra ondate di profughi climatici americani scappare verso il Messico. Quello che si sposta dai paesi poveri a quelli confinanti più ricchi è un fiume in piena che solo una miglior distribuzione della ricchezza riuscirà ad arginare. E, alluvione insegna, un argine protegge dalle acque di un fiume in piena, ma quando l’argine si rompe, il fiume paradossalmente diventa ancora più pericoloso.
Comunque, Mare Nostrum è un bene, nell’attesa di trovare un giusta ed equa soluzione che non sia il razzismo di chi li vorrebbe ributtare a mare e il buonismo di accorglierli tutti, e tanto vale istituire, per i clandestini, regolari linee di traghetti tra l’Africa e l’ Italia; così si metterebbe almeno fine allo sporco traffico di esseri umani.
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