Una patologia cronica quale il diabete comporta anche particolari difficoltà psicologiche, trattandosi di una condizione fisica con la quale si deve imparare a fare i conti quotidianamente.
Primo fondamentale problema è l'accettazione della diagnosi, spesso accolta da un vero e proprio rifiuto: per superarlo, il paziente deve quindi riuscire ad arrivare ad assumersi la responsabilità della propria salute, convincendosi che, se seguirà con regolarità e attenzione la terapia, le norme di autocontrollo e i corretti comportamenti alimentari, potrà gestire bene la situazione.
In altre parole, che la possibilità di stare bene, pur con il diabete, c'è ed è nelle sue mani. Essenziali in questa fase sono l'aiuto del diabetologo e dello psicologo, ma anche la condivisione dell'esperienza con altri diabetici.
Ulteriore problema nasce dal rapporto con gli altri, i non diabetici, dal timore di non essere accettati, di essere oggetto di sciocchi pregiudizi, di essere considerati "diversi". Infatti, tanto meglio si padroneggia la propria condizione di diabetico quanto più si è accettati dalle persone con cui viviamo e lavoriamo. La reazione più frequente della persona diabetica è quella di tacere il proprio stato: ciò in realtà può essere causa di maggiore stress che parlarne apertamente. In ogni caso, è normalmente meglio non nascondere la realtà alle persone affettivamente più vicine, alle quali non è poi difficile spiegare e dimostrare che il diabete è una condizione che, se mantenuta sotto controllo, permette di svolgere una vita assolutamente normale, semplicemente osservando alcune precauzioni.
I risvolti psicologici del problema sono molteplici e diversi a seconda delle età (per esempio, una attenzione particolare va prestata al bambino, specialmente nell'ambiente scolastico) e dei rapporti fra le persone (per esempio, una diagnosi di diabete può rischiare di alterare gli equilibri della coppia). La questione psicologica si deve dunque allargare anche ai soggetti che diabetici non sono, perché dalla loro comprensione della realtà, senza preconcetti, non può che venire un grande beneficio al diabetico.
Sembra di poter dire che - al di là delle tante situazioni possibili di difficoltà che certo non si possono riassumete in poche righe - la diffusa e generale consapevolezza da parte di tutti di che cosa sia il diabete e del modo corretto di affrontarlo sia di fondamentale importanza per il superamento del disagio psicologico, spesso figlio della paura del singolo e dell'incomprensione altrui.
1600 a.C. Un papiro egiziano (papiro di Ebers) accenna ai sintomi del diabete e propone varie cure a base di datteri, tritello di grano, gomma, miele, ginepro, lievito di birra 1000 a. C. Documenti dell'antica medicina indiana e della medicina cinese narrano di individui che eliminano urina che attira cani, formiche ed api. Nei secoli seguenti si conferma che taluni hanno sete insaziabile ed eliminano abbondante urina. III secolo a. C. Viene coniato da Demetrio di Apameia e da Apollonio di Menfi il termine Diabete il cui significato è "acqua che passa". I secolo d. C. Rufo di Efeso descrive per la prima volta un organo dall'"aspetto carnoso" al quale darà il nome di Pancreas.
L'attività fisica e il diabete Lo sport nel trattamento del diabete mellito
Generalità L'esercizio fisico, specie se aerobico, è parte integrante del piano di trattamento del Diabete Mellito.
La prima osservazione storica sull'argomento risale alla prima metà dell'800 ed è presente nel libro "Memoires d'un diabetique" in cui l'autore, medico e diabetico, riferiva che dopo un pasto abbondante (accompagnato da vino borgognone) era solito percorrere di corsa i boulevard esterni di Parigi e ne provava grande giovamento sul suo fisico.
La prima osservazione scientifica risale invece al 1926 (solo 5 anni dopo la scoperta dell'insulina), anno in cui Lawrence, medico inglese e diabetico, pubblicò sul British Medical Journal un articolo in cui dimostrava su se stesso che una iniezione di 10 unità di insulina pronta produceva un abbassamento glicemico molto maggiore e più rapido se era seguita da un esercizio fisico piuttosto che se si restava a riposo.
Per il sinergismo d'azione del lavoro muscolare e dell'insulina l'esercizio fisico venne considerato un "pilastro" della terapia del diabete (Joslin Clinic, 1959).
Negli anni '70 e '80 il miglioramento degli schemi terapeutici fece un po' dimenticare l'importanza terapeutica dell'esercizio. Nell'ultima decade, invece, l'attenzione del mondo diabetologico italiano si è focalizzata sulla qualità della vita e dunque anche su un aspetto non secondario di essa, quello dell'attività fisica e sportiva, ciò anche grazie all'impulso promozionale dato dall'Associazione Nazionale Italiana Atleti Diabetici.
La pratica dell'esercizio fisico sicuro, infine, richiede oltre alla motivazione ed all'attitudine, che il paziente venga addestrato all'autocontrollo e all'autogestione e quindi rappresenta un forte volano di educazione terapeutica.