
In realtà, toccare i propri genitori sui loro limiti è esattamente il compito evolutivo di ogni figlio: i genitori, infatti, sono costretti a confrontarsi con i loro limiti nella nuova dimensione genitoriale, che mostrerà, all'inizio, i principali nodi del loro processo di individuazione e di svincolo dalla famiglia di origine, che il rapporto di coppia, evidentemente, non è stato in grado di trasformare. In questo senso, i figli sono degli inconsapevoli alleati nel processo di crescita personale e di coppia, perché tendono a mettere i genitori in contatto con le loro paure e li costringono a confrontarsi in una complessità nuova.
Quando, invece, al bambino è impartita la lezione a dovere, gli si insegna a rinunciare all'ascolto delle sue antennine emotive, o a distorcerlo, in modo da rispettare il limite del genitore il cui contatto fa più paura. E' come dire ai figli "non aprite quella porta", come un titolo di un film del terrore, perché si potrebbero incontrare fantasmi di catene di generazioni: e chi li reggerebbe?
Così facendo, il bambino impara gradualmente ad identificarsi con l'immagine di "buono" che le figure di riferimento gli rimandano di continuo, pur di ottenere quell'amore e quella tranquillità che gli servono per crescere, limitando il campo in cui sente di esistere ed atrofizzando sempre di più le antennine e l'esplorazione interna ed esterna.
Un effetto di questo tipo di trappola è che, una volta danneggiate le antenne, il bambino non legge più come dissonanti i limiti d

egli adulti di riferimento, i quali, di conseguenza, vengono ingurgitati acriticamente. Questo, infatti, è uno dei meccanismi che sottendono il passaggio dei limiti da una generazione all'altra.
La limitazione maggiore in un adulto cresciuto in un simile clima emotivo riguarda l'inaccessibilità alle esperienze ed alle emozioni catalogate come "cattive".
Se, ad esempio, la rabbia è vissuta come emozione "cattiva", la sua comparsa si associa sempre con un'angoscia potente, il più delle volte inconsapevole (viene avvertito solo un forte senso di disagio, o un malessere fisico), legata alla paura di non esistere (l'antica minaccia inconsapevole di un adulto significativo).
Cominciare a camminare in direzione della libertà, ancora una volta significa entrare in quella angoscia e dissolverla come neve al sole. Nella maggioranza dei casi, però, la trappola è così ben radicata che è impossibile leggere le cose così come stanno realmente e, quindi, si preferisce costruire attorno a sé un sistema relazionale che elargisce continue conferme all'immagine di "buono". I "buoni", come si sa, non sono mai soli e vanno sempre in giro assieme.
In realtà, non esiste né buono, né cattivo, ma per rendere esperienziale questo concetto occorre entrare nella stanza delle cose "cattive", sperimentarle per un periodo di tempo sufficientemente lungo per scoprire che sono semplicemente emozioni o esperienze poco conosciute, mescolarle con le cose "buone" e rendersi conto che non c'è alcuna differenza tra buono e cattivo.
Realizzare questo significa entrare in un'ottica tantrica, dove la logica duale non ha più posto e dove ogni emozione è come un colore dell'arcobaleno e trova posto accanto alle altre. Così come non è immaginabile un arcobaleno senza il verde o il blu, così non è pensabile l'interezza e la felicità di un uomo senza la possibilità di sperimentare liberamente tutte le emozioni.
Nell'ottica di un ricercatore, diventa chiaro quanto è importante focalizzare le situazioni e le attività che più delle altre provocano disagio, angoscia e paura, per cominciare, lentamente, ad esplorare proprio in quelle zone: sicuramente si incontreranno, poco dietro all'angoscia, immagini che si riferiscono ai limiti ingurgitati dalla generazione precedente.