Etica e moralismo
Categoria : DIALOGO CON L'EDITORE
Pubblicato da Giuseppe Piccolo in 12/2/2014
cinchiglia3Il dramma è che spesso, ultimamente, basta esprimere disapprovazione per essere subito tacciati di moralismo, dimenticando che il valori morali possono anche essere sinceramente espressi e non solo ipocritamente espressi - Non è il corpo in sé ad essere giusto o sbagliato, ma il significato che diamo a quel corpo in quel momento. 
Uno dei insulti che va per la maggiore ultimamente è moralista.
Con moralismo si intende, in senso dispregiativo,Bella donna l’atteggiamento di chi si serve ipocritamente di valori morali per censurare il comportamento altrui.
Nell’antica Grecia l’ypokrites era l’attore, colui che finge, che pretende di essere riconosciuto per ciò che non è.
Il moralista, di solito, predica bene e razzola male.


Il moralista finge uno sdegno che non sente allo scopo di condannare azioni che compie egli stesso, quindi è un paradosso vivente: uno che acciuffa ladri e poi commette furti, uno che banchetta e pretende austerità, uno che ti accusa di essere un bugiardo quando lo cogli a mentire…


Come tutti i paradossi, il moralista è perturbante.
La morale è quell’insieme di convenzioni e valori di un determinato gruppo sociale in un periodo storico, o semplicemente, l’insieme di valori cui si attiene un individuo. La morale comprende tutti quei criteri che consentono (o dovrebbero idealmente consentire) all’individuo di gestire adeguatamente la propria libertà nel rispetto degli altri.
La morale è un concetto ben distinto dal moralismo, che è una versione corrotta della moralità.


La morale pretende una base razionale, quindi non emotiva, dell’atteggiamento assunto;  non ricomprende, quindi, lo slancio amorevole o la solidarietà di tipo irrazionale.

In questo senso essa pone una cornice di riferimento, dei canoni e dei confini entro cui la libertà umana si può estendere ed esprimere.



Sulla base del mio codice morale, il codice che io rispetto, posso esprimere un giudizio su un comportamento: un mio comportamento o il comportamento di un altro.



Esprimere un giudizio rientra, a mio avviso, nella sfera  della libera espressione del pensiero, che, come ben sappiamo, è uno dei diritti fondamentali dell’uomo.



Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948, art. 21: Ogni individuo ha il diritto alla libertà di opinione e di espressione, incluso il diritto di non essere molestato per la propria opinione e quello di cercare, ricevere e diffondere informazioni e idee attraverso ogni mezzo e senza riguardo a frontiere.



Come stabilire se un giudizio è espresso ipocritamente o sinceramente? In altri termini, come stabilire se un giudizio è viziato da moralismo o è semplicemente una riflessione etica?



A priori, sulla base del giudizio espresso, è impossibile: un giudizio non è ipocrita di per sé e non lo è neanche in rapporto al modo in cui viene espresso, poiché la modalità va ad influenzare solo la percezione che se ne può avere; un giudizio espresso in un certo modo può, ad esempio, essere frainteso.



Un giudizio può essere valutato come viziato dal moralismo solo in rapporto alla condotta morale della persona che lo esprime.



Interessante, direte voi, (ho un momento di ottimismo), ma tutte queste considerazioni, perché?



Perché oggi ho letto un articolo delle ragazze di Un altro genere di comunicazione - che mi è piaciuto e che condivido – su un tema piuttosto attuale, quello dell’oggettivazione del corpo femminile, e mi ha colpito quella paura di apparire moralisti che pervade chiunque si appresti a compiere un gesto dal grande valore simbolico: in questo caso, ricoprire un corpo.



La nudità, in sé e per sé, non è veicolo di alcun principio morale: nel giardino dell’Eden, prima che Adamo ed Eva si ponessero il problema del bene e del male, essi erano nudi, come tutti gli altri animali. E’ solo dopo aver colto la mela, nel momento in cui hanno acquistato il potere di decidere in autonomia ciò che è giusto e ciò che è sbagliato, che la nudità ha cominciato ad acquistare un significato etico: in rapporto al contesto, al sistema di valori che assumeremo come nostro, giudicheremo quando la nudità è un bene e quando è un male.



Non è il corpo in sé ad essere giusto o sbagliato, ma il significato che diamo a quel corpo in quel momento.



Quei ragazzi di Zona Collinare in Lotta che hanno scelto un gesto forte e controtendenza (in un mondo che spoglia il corpo femminile, che lo espone ovunque e a sproposito, loro  polemicamente lo hanno rivestito con dei giubbotti) protestavano contro un certo di tipo di nudità: quella usata per fare del corpo umano una merce, un prodotto.



Io ho visto, nel loro gesto, una protesta non contro il corpo umano o contro la nudità, bensì una protesta contro quella nudità che, invece di esaltare il corpo umano (come fa l’arte, ad esempio), lo rende oggetto di scambio in un mercato che ha invaso ogni sfera della vita umana.



Non possiamo definire questi ragazzi moralisti solo sulla base dei loro giubbotti, non li conosciamo abbastanza per accusarli di essere ipocriti: per ora hanno predicato, la loro vita potrà testimoniare sul loro razzolare.



Le loro parole mi fanno ben sperare: Ancora più interessante sarebbe domandare a “Papi Galiano” quanto costa ciò che di più prezioso abbiamo: noi stessi, il nostro corpo. Quanto costa una persona, la sua immagine, la sua identità?



Non ci leggo del moralismo, ma una rilessione morale.