Il pane buono nella dieta ! - Allora alcuni propongono i carboidrati sottoforma di pasta o riso

Data 4/2/2024 8:30:00 | Categoria: Nutrizione

Eccoci qui, di nuovo insieme, per semplicemente parlare di ciò che siamo, e se siamo  (anche) quel che mangiamo… come non parlare finalmente  del pane! E già vi vedo leggere con gli occhi sgranati questo articolo e dire: “Come è possibile proprio loro sono, i nutrizionisti e i dietologi che lo demonizzano, che  lo eliminano  e quando non  lo sopprimono, lo  riducono,   lo sminuzzano fino a grammature inverosimilli e improponibili… ora cosa possono scrivere di buono sul pane?” Infatti... l’ultima dieta seguita da una mia nuova paziente proponeva 17 g di pane... a giorni alterni... !






Ora, lungi da me difendere questo allegro e precisissimo dietologo... avete ragione... in parte.  



Credete che a noi non faccia male…..ok parlo per me, credete che a me  non faccia male! Ho  studiato per anni come elaborare, studiare in base al fabbisogno energetico di ciascun individuo la giusta ed equilibrata proposta alimentare, compredendo e contemplando  tutti  i nutrienti e gli alimenti della nostra cultura (pseudo)mediterranea  e quindi anche il pane, e sentire invece, dalle vostre labbra più o meno questo:




“Dottoressa quando mangio il pane ho l’impressione di lievitare, di gonfiarmi come un palloncino, sento dei rumori strani nella mia pancia, il mio intestino si blocca, mi sento come infiammata,  mi sento la digestione rallentata,  il giorno dopo il mio peso è più  alto e se mango la pizza poi non ne parliamo…credo di avere un’intolleranza ai carboidrati... se volete continuo?”




Per non parlare poi se il paziente ha un’ernia iatale,  un reflusso gastro-esofageo o ha avuto un infelice  incontro ravvicinato con l’Helicobacter Pylori...




So che questo farà sorridere ad alcuni, farà rabbrividire pochi, mentre farà esclamare  a molti : “E’ vero succede questo anche a me...  ” !! Questi  sono i momenti di ordinaria follia che quotidianamente si trova  a vivere  nella sua giornata un nutrizionista... e allora che fare?




Allora alcuni propongono i c
arboidrati sottoforma di pasta o riso in quantità maggiore, altri sotto forme diverse come gallette o pane azzimo o ancora, di usare degli accorgimenti come ad esempio quello di tostare il pane per renderlo più digeribile... ma a tutti e ripeto a tutti (perchè anche i nutrizionsti hanno un cuore e uno stomaco) dispiace molto non poter proporre del buon pane fresco magari lievitato come una volta.




Ed è per questo che con grande piacere vi riporto di seguito 2 articoli.  Il primo è un intervento di Carlo Petrini, presidente Slow Food e dell’università di Scienze Gastronomiche appraso su “La Repubblica” qualche giorno fa... e il  secondo  è un articolo dedicato al pane scritto da Marina Cavalieri che annuncia la creazione di  un albo dei degustatori del pane.




Sperando che possa essere uno spunto di riflessione e magari di sicussione  e che  ciascuno di noi torni a chiedersi ad esempio: dove si sono nascosti i panettieri?     ...fatevi sentire !!



C’è tanta fantasia ma attenti alla personalità





La qualità del pane oggi in Italia desta preoccupazione, soprattutto al Nord. Comprare il pane significa destreggiarsi tra forme più o meno fantasiose, senza personalità, omologhe, magari belle a vedersi ma facili a trasformarsi, dal mattino a sera, in insignificanti biscotti. Da un lato c´è una grossa perdita di savoir faire: di fronte a ingredienti semplici come farina, acqua, sale e lievito, la variabilità umana gioca un ruolo centrale.



Ci vogliono anni di levatacce, il saper creare il giusto impasto, percepire la durata ideale della lievitazione, saper usare il forno, “vedere” il colore del caldo. È una sapienza perduta, cui l´industria non può supplire: i pani che nascono da questa manualità e conoscenza migliorano con il tempo, durano anche 15 giorni e non vanno a finire irrimediabilmente nella spazzatura l´indomani, alimentando quello spreco alimentare che grida vendetta.



C´è poi l´esigenza di affrontare un discorso serio legato sulle materie prime, ricreare un rapporto forte tra i veri artigiani e i buoni mulini, quelli (e non sono tanti) che fanno farine di qualità con frumenti selezionati, magari biologici.



È necessario de-industrializzare il pane, che deve tornare ad essere espressione del territorio e orgoglio per chi lo sa fare bene. E bisogna anche creare le condizioni perché la produzione dei veri panettieri possa essere economicamente sostenibile: altrimenti di fronte allo sciapo pane industriale o fatto con i cosiddetti “miglioratori” non c´è partita.



Ci vuole insomma una ricostruzione della filiera, dagli ingredienti fino alla riconquista della dignità della lavorazione artigianale. Non a caso la prima “officina” allestita nell´Università di Scienze gastronomiche sarà proprio dedicata al pane: anche il sistema accademico deve riconoscere il valore di questa professione, che per essere virtuosa deve scegliere le strade meno facili. Perché le cose che sembrano semplici, come il pane, a volte non lo sono affatto.















“Troppi lieviti, poca arte” arriva una task force per il pane di qualità




Valutano la lievitazione, giudicano la cottura, calcolano la stagionatura, stabiliscono la fragranza. Arrivano gli assaggiatori di pane, i sommelier dell´arte bianca.

È nato l´Istituto nazionale assaggiatori di pani, dovrà formare gli esperti sensoriali di quello che un tempo era il più povero degli alimenti, professionisti di lievito e farina che stabiliranno la genuinità e la qualità di un cibo che dopo decenni di disattenzione, di esclusione e oblio, dopo essere stato precotto e surgelato, cerca ora la sua totale riabilitazione.

«Ci sono arrivate molte richieste per organizzare i corsi, da Milano a Tokyo», spiega Vincenzo Barbieri, presidente dell´istituto e già ideatore della Festa del pane che si tiene ad Altomonte, in provincia di Cosenza, dove, al Museo del pane, avrà sede l´istituto. «L´obiettivo è istituire corsi a tre livelli – spiega Barbieri – per consumatori curiosi, per panificatori e addetti ai lavori e poi un terzo livello per Maestri assaggiatori, corsi specialistici da inserire in un albo nazionale. Sta crescendo l´interesse per il pane e mi auguro che, come c´è ora nei ristoranti una carta dei vini, presto arrivi anche una carta dei pani, che si possano scegliere abbinati agli alimenti. Il pane deve riappropriarsi della sua identità».




Una tradizione dimenticata, quella del pane, da decenni di diete che lo hanno demonizzato e da una produzione industriale che lo ha svilito, togliendo sapori, odori, ma soprattutto identità. Un cibo povero diventato negli anni del benessere privo di appeal, nell´epoca delle magre una minaccia, vittima di una crisi costante che però ora sembra finita. Gli italiani preferiscono sempre più pane fresco e l´odore del forno, hanno successo tutte le iniziative in cui si torna alle origini, si apprezza quello fatto con farina di qualità e lievito madre, tanto che il buon pane è considerato dai panettieri un nuovo business. «Faccio pane con la lievitazione naturale, fermentazione di acqua e farina, le farine che uso poi sono biologiche, non lo faccio per moda ma per convinzione», racconta Eugenio Pol, panificatore per vocazione. «Vivo e lavoro in una paesino alle pendici del monte Rosa ma da qui il pane che faccio viene distribuito in tutta Italia, e anche in America e in Giappone. Ero cuoco ma non ero soddisfatto del pane che compravo. Il problema è il lievito di birra che monopolizza l´impasto, è dannoso per la salute, uccide il sapore. Quello fatto con lievito di birra oggi non lo considero più pane, non solo fa male ma c´è anche un grandissimo spreco, mentre il pane fatto con lievitazione naturale può essere conservato a lungo, si rigenera, rimane vivo».




E la qualità torna a essere apprezzata. «L´analisi sensoriale degli alimenti è una scienza riconosciuta, si fa dell´olio, dei formaggi, del miele e anche dell´acqua minerale, mancava il pane», spiega Walter Cricrì, agronomo e assaggiatore di olio e di aceto balsamico. «Le caratteristiche di un buon pane? Una mollica che abbia le bolle piccole e ben distribuite, le bolle grosse possono essere frutto di una lievitazione veloce, del lievito di birra che si è gonfiato». Gli assaggiatori sono arrivati.










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