IL SENSO CRISTIANO-BORGHESE DELLA MORTE
Categoria : MISTERI NASCOSTI
Pubblicato da Giuseppe Vivo in 15/4/2011
gif333Quando Manzoni era ateo vedeva la morte come forma di liberazione da un dolore insopportabile, da una sofferenza senza via d'uscita. E ci scrisse sopra l'Adelchi. Era un modo rassegnato di vivere la vita, che aveva però il vantaggio di non creare illusioni. Vi era una certa dignità, un certo stoicismo. Poi divenne credente e, scrivendo i Promessi sposi, disse che le contraddizioni vanno affrontate confidando nella divina Provvidenza, che può anche servirsi della morte per liberarsi del don Rodrigo di turno e far trionfare il bene.


 Ma da dove viene ai cristiani questo modo mistico di considerare la morte? Viene dalla tomba vuota del Cristo.  



Fiducia contro rassegnazione, provvidenza contro disperazione. Dove sta il trucco? Sta appunto nel far credere che dal paganesimo al cristianesimo vi sia stato un progresso di etica e di cultura, quando invece l'unico progresso era stato nell'illusione di credere possibile l'esistenza di un'entità separata dall'uomo, onnipotente e infinitamente buona, in grado di risolvere tutti i problemi dell'umanità.



E su questa strada si andò avanti per secoli e secoli, finché nel Mille (guarda caso nell’Italia cattolica) nacque una nuova figura sociale, il borghese, che, pur fingendo di credere ancora in quella illusione, pensò bene di mettere in pratica un principio diciamo più mondano, quello secondo cui la felicità è data dal denaro.



Il borghese cominciò a pensare che meglio dell'aldilà era l'aldiquà, a condizione ovviamente che la religione non ponesse ostacoli insormontabili allo sfruttamento delle risorse umane e materiali. E così fu. Seppure obtorto collo, le due confessioni, prima cattolico-romana, poi, e soprattutto, protestante vennero incontro alle esigenze della nuova figura sociale.



Ci vollero altri secoli prima che qualcuno dicesse che questa forma di materialismo era rozza e volgare e che per arrivare a quella scientifica bisognava risolvere il problema dello sfruttamento, dopodiché non solo si sarebbe eliminata l'idea di provvidenza, ma si sarebbe anche considerata la morte come un falso problema.



Col socialismo la morte torna ad essere vista come nella preistoria, una sorta di mera trasformazione della materia, nell'ambito di un universo infinito nello spazio e illimitato nel tempo. Un universo mai nato e mai destinato a morire.



Intanto però dobbiamo ancora combattere non solo col primato assoluto del denaro, imposto drammadalla borghesia, ma anche con l'idea cristiana che sponsorizza, anche a costo d’invocare il martirio, un tipo di felicità unicamente ultraterrena.



Ma da dove viene ai cristiani questo modo mistico di considerare la morte? Viene dalla tomba vuota del Cristo. Invece di fare autocritica per non aver saputo impedire la crocifissione del loro leader e, soprattutto (perché questo fu ancora più grave), per non essere stati capaci di continuare il vangelo di liberazione nazionale (dall'oppressione romana e dal collaborazionismo interno), gli apostoli pensarono che la morte del Cristo era stata "necessaria", voluta da dio-padre per riconciliarsi con gli uomini schiavi del peccato originale, impotenti a realizzare il bene.



La morte come riscatto morale, dal dolore, dall'insignificanza della vita, dalle sconfitte quotidiane, dall'incapacità d'essere se stessi: ecco con quale follia il cristiano vive la sua esistenza, ecco da dove proviene il risentimento nei confronti di chi gli dimostra che è solo un pavido.



E' stata una fortuna per lui che il borghese abbia sostituito al dio uno e trino il dio quattrino. Grazie al borghese infatti il cristiano non urla più come san Paolo: “Faccio non quello che voglio ma quello che non voglio: chi mi libererà da questo corpo di morte?”.



Ora sa quello che vede fare.