Il tesserino non serve a niente, il vero giornalismo si fa con coraggio e onestà
Categoria : DIALOGO CON L'EDITORE
Pubblicato da G.P. in 12/10/2017
Giornalisti e pubblicisti... Comprati e venduti... specialmente nei piccoli paesi... Il miglior giornalismo oggi lo produce chi non ha un contratto sicuro in tasca, chi non ha quindici mensilità garantite. Lo produce gente che mette a rischio la propria faccia, la propria pelle, ma anche il proprio lavoro. Perché lavorare in stato di precarietà assoluta vuol dire non avere difese, vuol dire avere molte più difficoltà ad andare avanti. Ma spesso sono proprio questi giornalisti ad aver tirato fuori le storie più dure e dolorose.... o si vendono... 



È un giornalismo difficile, pericoloso, che troppo spesso è costato la vita di chi lo ha portato avanti e che, anche ora che la Mafia ha smesso di uccidere, richiede troppo spesso a chi lo fa un prezzo altissimo: la solitudine, l'isolamento, la marginalità.

Si parla di un giornalismo che è quasi sparito, seppellito dalle convenienze e dalla pavidità di alcuni, ma anche dalla cappa della cosiddetta 
Oggettività che qualcuno ha infilato a forza addosso a un mestiere che, al contrario, neutrale non è per niente.

Il giornalismo è un mestiere in cui ti devi schierare rispetto alla verità. Devi fare una scelta di campo, devi farlo con onestà intellettuale e devi saperlo che non sei mai al di sopra dei fatti che racconti, questo è il difficile...

Nessun giornalista si può considerare alla stregua di un notaio o di un passacarte. Le cose che scrivi passano per forza attraverso la tua esperienza, la tua vita. Purtroppo a volte l'errore di considerarlo un lavoro da amanuensi è stato fatto. È stato considerato un lavoro come tanti altri, rischiando di rimanere astratto, distante, privo di empatia e, in fondo, senza capire che spesso il nostro lavoro e i nostri racconti hanno una importanza sociale straordinaria. Certo, parlo soprattutto di luoghi e tempi in cui il giornalismo è stato di frontiera, ma vale per ogni campo.

Chi ha paura della buona informazione? Chi ha bisogno di avere intorno a sé un giornalismo impigrito, distratto, benedicente e benevolente... ? I politici corrotti... 

Giornalista privo di autorevolezza non vuol dire per forza che ci debbano essere peccati da nascondere o segreti da tacere. Solo che ci sono dei contesti sociali, politici o civili in cui l'assenza di buona informazione è una garanzia di impunità a tutti i livelli. Per cui si lavora con meno controlli, con più spregiudicatezza. Ci sono campi in cui, in Italia, si costruiscono carriere senza doversi mostrare agli occhi dell'opinione pubblica. Per questo un giornalismo impigrito certamente fa comodo.

Da parte dei giornalisti ho l'impressione che si sia perso il piacere dell'indagine, della scoperta e del racconto, anche perché l'informazione in tempo reale prodotta attraverso i nuovi media ha almeno in parte tolto ai lettori il vecchio gusto di un'informazione che non si fermava alla superficie delle cose, alla prima domanda, ma che voleva andare oltre. In parte anche perché in passato l'informazione si è nutrita di eventi emotivi che oggi mancano.

Non è soltanto un problema di regole dell'Ordine o di regole d'ingaggio del mestiere, è anche un problema dei giornalisti. È innegabile infatti che quella parte di giornalisti che stanno dentro un sistema di riconoscimenti e di formalità si sentono di far parte di una casta. In tanti considerano tutto ciò che sta fuori frutto di improvvisazione, precarietà e, per così dire, periferia della professione. Ma è proprio lì, nelle periferie dell'Italia e della professione stessa, che sta venendo il miglior giornalismo. Il miglior giornalismo oggi a volte lo produce chi non ha un contratto sicuro in tasca, chi non ha quindici mensilità garantite. Lo produce gente che mette a rischio la propria faccia, la propria pelle, ma anche il proprio lavoro. Perché lavorare in stato di precarietà assoluta vuol dire non avere difese, vuol dire avere molte più difficoltà ad andare avanti. Ma spesso sono proprio questi giornalisti ad aver tirato fuori le storie più dure e dolorose.... o si vendono... Perché sono più deboli e più soli. Ma per essere un buon giornalista, per fare bene questo mestiere non occorrono tesserini rossi, né esami dell'ordine. Puoi essere un pessimo giornalista ed avere il tesserino da professionista e puoi essere uno straordinario narratore e cronista e non essere nemmeno iscritto all'albo.

Un giornalismo precario è un giornalismo a rischio, sia professionale che personale. Da un canto il bisogno di fatturare e di scrivere per guadagnare portano ad abbassare la qualità, a scrivere di più, peggio, e a non poter rischiare di pestare i piedi dei potenti. Dall'altra, il fatto di essere fondamentalmente da soli, espone certamente a pericoli più grossi. Se il prezzo di un giornalismo realmente libero è il fatto che sia un giornalismo senza padroni, ma anche senza soldi, allora forse è un prezzo troppo alto da pagare. Poi, chiariamo, esistono anche grandi storie di giornalismo che non sono corsare e precarie, ma sono sempre di meno. È per questo che in commissione antimafia ci stiamo battendo da anni per rendere più tutelata la figura del freelance; la mafia si è creata anche nei piccoli paesi... con informazioni manipolate... 

In fondo, ad alcuni politici fa comodo una stampa dormiglione... Perché consente di non sentire il suo fiato sul collo...

Il giornalismo c'è. Ce ne sono tanti di giornalisti onesti che, anche contro le difficoltà di cui abbiamo parlato prima, continuano a fare egregiamente il lavoro di quelli che non ci sono più. È la mafia ha capito che il prezzo che ha pagato per aver ucciso magistrati, politici e giornalisti è stato troppo alto in confronto ai benefici. Ora cerca vie diverse, che non è detto che siano meno dolorose degli omicidi, comprare i giornalisti... questo purtroppo accade spesso nei piccoli paesi... 

È più semplice parlare dei morti. Perché parlare di vivi significa anche esporsi e parlare di se stessi. I morti fanno meno male. I martiri fanno più comodo degli eroi.

Mafia: Organizzazione criminale suddivisa in più associazioni (cosche o famiglie ), rette dalla legge dell'omertà e della segretezza, che esercitano il controllo di attività economiche illecite e del sottogoverno, nata in Sicilia oggi molto diffusa nei piccoli paesi d'Italia. Tendenza a sostituirsi alla legge (di nascosto) con l’azione o il prestigio personale, per lo più attraverso la formazione consorterie, e con atteggiamenti di boriosa insolenza: ambienti in cui regna la mafia. Ostentazione di eleganza, di spavalderia, specialmente i alcune famiglie.