Empatia Capacità di porsi nella situazione di un’altra persona

Data 30/12/2023 9:20:00 | Categoria: News

limon2Empatia: In psicologia per empatia (termine derivato dal greco ἐν, "in", e -πάθεια, dalla radice παθ- del verbo πάσχω, "soffro", sul calco del tedesco Einfühlung), si intende la capacità di comprendere lo stato d'animo e la situazione emotiva di un'altra persona, in modo immediato e talvolta senza far ricorso alla comunicazione verbale. Il termine viene anche usato per indicare quei fenomeni di partecipazione intima e di immedesimazione attraverso i quali si realizzerebbe la comprensione estetica. sommario: L'interpretazione fenomenologica e psicoanalitica.



Empatia: Capacità di porsi nella situazione di un’altra persona o, più esattamente, di comprendere immediatamente i processi psichici dell’altro. Con questo termine si suole rendere in italiano quello tedesco di Einfühlung.


Tradimentostupido


In estetica, e. indica un tipo di percezione vissuta antropomorficamente di fronte a oggetti: una colonna sottile che regge un grosso capitello può suscitare un senso di disagio, di squilibrio, di sforzo. Questi fenomeni sono stati studiati da T. Lipps (1903) come emozioni estetiche.



A partire dai primi anni 1990 la problematica della comprensione empatica (intesa come quella forma di immedesimazione negli stati psicologici dell’altro a cui sarebbe subordinata la spiegazione, o ‘comprensione’, del suo comportamento) è stata al centro di un significativo quanto vivace dibattito nella filosofia della psicologia e nella filosofia della mente (oggi rientranti nella scienza cognitiva). Fermo restando il riferimento ai modelli storici della comprensione empatica (ilVerstehen di G. Simmel e W. Dilthey in Germania, il re-enactment di R.G. Collingwood in Gran Bretagna), il rinnovato dibattito ha preso le mosse da alcuni sviluppi della filosofia analitica del linguaggio e della mente, in particolare da una celebre tesi di W.V. Quine secondo la quale l’attribuzione dei cosiddetti atteggiamenti proposizionali o stati intenzionali (credenza, desiderio, speranza ecc.), attraverso i quali nella psicologia del senso comune normalmente spieghiamo il comportamento dei nostri simili secondo il classico modello mezzi-scopi, si basi essenzialmente su una simulazione di tipo empatico. Tale simulazione empatica costituisce per Quine (Pursuit of truth, 1990) una modalità epistemica naturale con la quale correntemente e spesso inconsciamente attribuiamo credenze, desideri e percezioni. Utilizzata e sviluppata sin dai primi anni 1980, questa tesi è alla base della ripresa del concetto di simulazione empatica nella filosofia della mente.



Il concetto di e., particolarmente importante nella prassi psicoterapeutica, ha trovato un’applicazione, negli ultimi due decenni del 20° sec., nell’ambito della cosiddetta psicologia del sé di H. Kohut. L’e. diviene, in questo contesto, un elemento fondamentale della teoria della tecnica psicanalitica, mostrando in particolare la sua efficacia nella terapia della patologia narcisistica. Secondo Kohut, è condizione naturale dello sviluppo il passaggio attraverso fasi narcisistiche, nelle quali il bambino si percepisce e si relaziona con il mondo in una forma onnipotente e ‘grandiosa’; queste fasi dovrebbero trovare un rispecchiamento empatico nelle figure di accudimento, pena un loro ripresentarsi in forma patologica nell’individuo adulto. È allora compito dell’analista, nella terapia di adulti che presentino questa patologia, operare con e. (ponendosi, cioè, in risonanza emotiva con le reali esigenze del paziente) nei confronti dei desideri infantili di rispecchiamento avanzati dal paziente, fornendo peraltro sostegni via via più evoluti in funzione di una trasformazione flessibile (e non di una sostanziale eliminazione, come sostenuto da altri teorici, per es., da O. Kernberg) dei tratti narcisistici della sua personalità. 








    Dizionario di Medicina (2010)







Empatia: Capacità di immedesimarsi e fare propri gli stati d’animo di un’altra persona. Il termine è stato a lungo usato nel campo dell’arte e della contemplazione della natura, senza riferimento esplicito all’interazione interpersonale. Successivamente, la caratterizzazione dell’e. quale meccanismo generale di riconoscimento reciproco tra creature dotate di mente, ha aperto la strada a studi psicologici e neurobiologici.



Fenomenologia dell’empatia. L’e. è la spontanea risposta dell’organismo allo stato emotivo percepito, osservato o puramente immaginato di un altro individuo. Entrare in e. significa sperimentare uno stato emotivo in sintonia con quello dell’individuo con cui viene stabilito un contatto. L’innesco del processo empatico è accompagnato dalla consapevolezza che il sentimento esperito ha origine proprio dal meccanismo di immedesimazione con l’altro. In una prospettiva evoluzionistica, si può supporre che l’e. offra il vantaggio di ridurre il rischio di danneggiare i membri del gruppo sociale, motivando invece comportamenti altruistici che portano benefici all’intera comunità. Viceversa, l’assenza di e. si associa a gravi stati psicopatologici, in quanto gli individui che ne sono affetti feriscono gli altri senza provare rimorso o sensi di colpa. L’e. è inoltre cruciale per la creazione e il rafforzamento del legame tra il neonato e l’adulto che lo accudisce, una funzione essenziale alla crescita cui fa eco, in età più avanzate, quella di forte collante all’interno della coppia. I primi studi sperimentali provengono da ricerche di tipo sociale o psicologico, attratte dal tentativo di comprendere come percezione, emozione e cognizione possano originare un meccanismo tanto potente da consentire di ‘mettersi nei panni degli altri’ in modo così pieno e pervasivo. Nel 2002, Stephanie D. Preston e Frans de Waal hanno ipotizzato che l’immedesimazione consegua dalla capacità di creare una rappresentazione mentale dello stato emotivo osservato negli altri. Una volta attivata, tale rappresentazione richiama spontaneamente reazioni somatiche e autonomiche tipiche di quello stato emotivo.



Basi neurobiologiche dell’empatia. Nel primo decennio del 21° sec., le neuroscienze hanno contribuito a rafforzare le conoscenze sull’e. identificando i circuiti cerebrali in grado di innescare il processo empatico. Un contributo essenziale è derivato dagli studi di imaging cerebrale funzionale (➔), che consentono di visualizzare l’attivazione delle aree cerebrali coinvolte nei processi mentali. Questi studi hanno evidenziato che la percezione di odori disgustosi e l’osservazione di volti che esprimono disgusto evocano le medesime risposte neuronali. In entrambe le condizioni, si rileva l’attivazione dell’insula anteriore, una regione già in precedenza riconosciuta come deputata al processamento del disgusto. In uno studio di Tania Singer è stato inoltre identificato il circuito neuronale responsabile del dolore empatico. La situazione sperimentale prevedeva che un soggetto venisse sottoposto a monitoraggio dell’attivazione cerebrale mediante risonanza magnetica funzionale mentre riceveva una stimolazione dolorosa alla mano o, in alternativa, mentre osservava il partner ricevere lo stesso tipo di stimolazione (attraverso uno specchio; il partner rimaneva seduto accanto allo scanner). Tramite tale procedura, è stato possibile individuare l’attivazione di un preciso circuito cerebrale, definito matrice del dolore, che accompagna il dolore percepito o quello empatico. L’attivazione della matrice del dolore, che comprende l’insula anteriore e posteriore, la corteccia cingolata anteriore rostrale e caudale, la corteccia somatosensoriale e sensori-motoria, il tronco encefalico e il cervelletto, è comune a entrambe le situazioni, con l’unica eccezione delle aree deputate alla componente sensoriale discriminatoria della fonte del dolore, che si attivano solo nel caso del dolore percepito. Le restanti aree della matrice sono necessarie al processamento della componente affettiva del dolore e permettono l’immedesimazione nel dolore altrui. L’attivazione di tali aree è correlata al grado di conoscenza e affetto nei confronti della persona osservata. Un’ipotesi attraente è che il cervello riconosca e condivida gli stati emotivi tramite un meccanismo a specchio in cui le stesse aree cerebrali si attivano sia nel caso dell’osservazione di un’emozione, sia nel caso della sua effettiva esperienza. Tale meccanismo coinvolgerebbe i neuroni specchio (➔ neurone, Neuroni specchio), individuati e descritti da Giacomo Rizzolatti mediante registrazioni dall’area motoria F5 della scimmia. I neuroni specchio presentano la sorprendente proprietà di rispondere sia quando la scimmia esegue un’azione sia quando essa osserva un altro individuo effettuare la stessa azione. I neuroni specchio presentano caratteristiche motorie identiche ai neuroni motori, ma hanno proprietà visive peculiari: non rispondono alla semplice presentazione visiva di oggetti, né sono influenzati dalle loro qualità fisiche, e la loro attivazione dipende piuttosto dall’osservazione di atti finalizzati. È stato proposto che i neuroni specchio agiscano da generatori di rappresentazioni interne che conducono al riconoscimento e alla comprensione del significato degli atti altrui. Se applicato alla sfera delle emozioni (➔), il meccanismo a specchio renderebbe immediatamente disponibile nel cervello la riproduzione dello stato emotivo osservato, consentendo così di comprendere in modo diretto le emozioni degli altri. Più recentemente, è stato dimostrato che lo sviluppo del sistema dei neuroni specchio è deficitario nei bambini affetti da autismo (➔); come conseguenza di tale deficit, i bambini con autismo ad alto funzionamento potrebbero capire le intenzioni altrui a livello cognitivo ma essere privi del meccanismo che consente la comprensione degli altri su base esperenziale.



 



 



 






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